Le polemiche sulle presunte relazioni del futuro Papa Francesco, allora responsabile provinciale dei gesuiti,  con la dittatura militare argentina, sono scoppiate non appena si è saputo della sua elezione. In particolare hanno destato scalpore la presa di posizione di Fortunato Mallimacci, ex preside della facoltà di Scienze politiche dell’università di Buenos Aires  che ha detto che il Papa è condannato dalla storia per via del suo silenzio durante la dittatura militare e altro ancora, e quello dell’avvocato Gentili difensore di parte civile delle famiglie dei desaparecidos che se ne è uscito con un “Bergoglio non poteva non sapere” riferendosi ai rapimenti e ai massacri perpetuati dalla guitta militare tra il 1978 e il 1983. Le loro parole sono state subito riprese dalla rete che nei social network ha visto un fiorire anche in Italia di accuse a Papa Francesco. E’ dovuto intervenire ieri il premio nobel argentino per la pace Adolfo Pérez Esquivel che ha detto in modo esplicito che sebbene alcuni esponenti del clero argentino fossero rimasti coinvolti con la dittatura, Jorge Bergoglio non lo era mai stato.  Tra le accuse rivolte al Papa il caso di due gesuiti che furono arrestati e detenuti per alcuni mesi dai militari: Bergoglio ai tempi non avrebbe cercato di salvarli. Invece le testimonianze parlano di un suo diretto impegno per la loro scarcerazione che avvenne dopo cinque mesi. Uno di quei due sacerdoti è ancora vivo. Si tratta di Franz Jalics che attualmente vive in ritiro spirituale in Germania. Sulla pagina del sito jseuitenorg, la pagina dei gesuiti tedeschi, è stato pubblicato un comunicato ufficiale che dice come il sacerdote si è riconciliato da tempo con l’attuale Pontefice: “Sono riconciliato con quegli eventi e per me quella vicenda è conclusa”. Dice di aver potuto incontrare Bergoglio anni dopo la sua liberazione e aver parlato con lui di quegli eventi: “Dopo quel colloquio abbiamo celebrato insieme una messa pubblica e ci siamo abbracciati solennemente”. Quindi fa i suoi auguri al Papa per il suo nuovo magistero. Il gesuita ricostruisce poi nei dettagli tutta la vicenda dell’arresto suo e dell’altro sacerdote spiegando che si trattò di una serie di accuse dovute al clima di caos totale di quei giorni di dittatura. A coinvolgerli, spiega, l’arresto di un loro ex collaboratore che  nel frattempo era andato con gli oppositori del regime militare.



“Dopo un interrogatorio di cinque giorni, l’ufficiale che aveva condotto l’interrogatorio stesso, si è congedato con queste parole: “Padri, voi non avete colpe e mi impegnerò per farvi tornare nei quartieri poveri”. Nonostante quell’impegno restammo incarcerati, per noi inspiegabilmente, per altri cinque mesi, bendati e con le mani legate”. Le sue parole dovrebbero essere sufficienti a chiudere il caso, si spera.

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