Luca ha vissuto in Argentina per dodici anni, arrivandoci per la prima volta nel settembre del 1998. Appartenente all’associazione laicale Memores Domini, si era recato in Sudamerica per svolgere uno dei compiti di questa associazione, la missione. Come ci ha raccontato lui in questa conversazione, la possibilità gli venne data da un’offerta di lavoro scaturita da un appalto vinto dalla società milanese Sea quando in Argentina gli aeroporti vennero privatizzati. Così, da italiano “emigrato” in Argentina più o meno un secolo dopo la grande ondata migratoria di tanti nostri connazionali (tra cui anche i genitori del futuro Papa Francesco), Luca si è trovato una sera da solo in macchina con l’allora arcivescovo di Buenos Aires. E oggi spera ardentemente di poter reincontrare il suo amico.
Quando è stata la prima volta che tu e gli aderenti al movimento di Cl avete potuto incontrare il futuro Papa? Mi sembra di ricordare che fosse il 2000. L’occasione fu data dalla presentazione del libro Il senso religioso di don Luigi Giussani, che veniva pubblicato in una edizione appositamente fatta per il Sudamerica. Volevamo presentarlo pubblicamente e così decidemmo di chiedere all’allora arcivescovo Bergoglio di tenere lui la presentazione.
E lui che disse? Accettò subito molto volentieri.
Eravate a conoscenza del fatto che lui si era già interessato all’opera di don Giussani? Per noi era importante che partecipasse l’arcivescovo di Buenos Aires. In ogni caso, accadde che dopo la presentazione ebbi la fortuna di accompagnarlo a casa in macchina, eravamo solo io e lui. Ne approfittai per chiedergli se avesse letto altri libri di don Giussani e lui mi disse sì, ho letto moltissimo i suoi libri perché per me Giussani è fondamentale nella mia vocazione e nel mio ministero per la sua profondità di pensiero e per la fede che trasmette dai libri. Lo amo molto, per me è davvero una figura fondamentale. Ricordo benissimo queste parole, non le ho scordate.
Dopo quell’episodio vi siete incontrati ancora? Qualche volta capitava che alla fine di una messa in cattedrale si andasse a salutarlo con altri amici della nostra casa. Lo abbiamo invitato almeno due volte a cena a casa nostra, purtroppo ha sempre rifiutato ma non perché non avesse voglia di vederci. Il motivo per cui non venne la dice lunga della sua personalità.
Quale era il motivo? Ci disse che lui, se non aveva incontri che spettavano al suo ministero, alla sera non usciva mai di casa. Disse: mi ritiro in silenzio, non mangio quasi niente e prego. Però ci invitò un pomeriggio in Curia, voleva incontrarci.
Come andò quell’incontro? Fu molto bello. Ci accolse in una sala con le sedie disposte in circolo, chiese a ognuno chi era, cosa faceva, perché si trovava in Argentina. Era molto interessato alla vita di ognuno di noi e ci parlava della sua stima per l’opera del movimento.
Noi in Italia cominciamo adesso a fare la sua conoscenza. Ci colpiscono ad esempio queste fotografie dell’arcivescovo che prende la metropolitana come un qualunque pendolare. Sì, lui è così, è tutto vero. Una volta ad esempio l’ho visto mentre ero in centro a Buenos Aires che camminava da solo per la strada in mezzo alla gente. Mi sono dovuto voltare per guardarlo bene perché mi chiedevo: ma è lui, l’arcivescovo? Era proprio monsignor Bergoglio, tranquillo come fosse un prete qualunque, con la gente che lo fermava e lo salutava e lui che si fermava a parlare con loro. Questo suo modo di fare è noto da anni, in Argentina. Lui prende e va senza alcun problema a incontrare la gente.
Che considerazione hanno di lui il popolo argentino e il governo?
Il popolo sicuramente lo ha sempre amato. C’è, ad esempio, un pellegrinaggio che ricorre la prima settimana di ottobre a un santuario a 70 chilometri da Buenos Aires. Un avvenimento impressionante, che vede la partecipazione anche di un milione e mezzo di persone. Lui tiene la messa alla mattina e colpisce sempre questa sua capacità di rivolgersi alla gente più umile con parole comprensibili da tutti.
Il governo invece? E’ diverso. Da quando sono stati presidenti prima Néstor Carlos Kirchner e poi Cristina Kirchner, si è notato un allontanamento del governo. Lo sopportano, ma lui è davvero diverso da loro. Quando senti Bergoglio che parla non senti il populismo del governo, ma senti uno che chiede che il popolo possa davvero vivere, avere lavoro e giustizia. Le sue omelie sono famose e anche molto forti.
Quando il parlamento argentino votò il matrimonio gay scrisse una lettera molto forte sull’argomento. Infatti. Personalmente mi ha sempre dato l’idea da una parte di una persona austera e umile, e dall’altra di un pastore nel senso letterale del termine. Una figura cioè che non confonde la sua autorità con la rinuncia a dire le cose come stanno. C’è un episodio emblematico. Ogni anno, da quando l’Argentina è indipendente, si fa una messa, un Te Deum di ringraziamento per l’indipendenza a cui da sempre partecipa il presidente argentino. Da quando Bergoglio ha cominciato far sentire forte la sua voce, tutti e due i presidenti Kirchner non sono più andati, provocando uno scandalo fortissimo. Ma lui, tranquillo, è sempre andato avanti per la sua strada senza cedimenti.
La scelta di farsi chiamare Francesco: c’erano avvisaglie, parole particolari che facessero presagire questo suo affetto per il santo di Assisi? Personalmente non l’ho mai sentito parlare esplicitamente di San Francesco. Però adesso, alla luce del nome che ha scelto e pensando al personaggio che ho conosciuto, penso che ricalchi molto bene quello che lui è: un nome e un programma.
Adesso che è Papa andrete a trovare il vostro amico? Certamente, appena sarà possibile. O a Roma o quando tornerà in vista a Buenos Aires.
(Paolo Vites)