In una esclusiva diffusa oggi pomeriggio, il Tgcom ha rivelato che probabilmente si è davanti alla svolta tanto attesa nelle indagini sul ritrovamento di Roberta Ragusa, la donna scomparsa lo ricordiamo nel gennaio del 2012. Suoi resti, ancora non chiaro se umani o semplicemente oggetti o vestiti appartenuti a lei sarebbero infatti stati ritrovati in un luogo che ancora non si conosce. C’è infatti la massima segretezza sul ritrovamento, tanto che un giornalista del Tgcom intervistando il procuratore capo di Pisa che segue le indagini alla domanda sull’effettivo ritrovamento dei resti è stato categoricamente invitato a non chiedere oltre sulla notizia: nessuna smentita ma neanche nessuna conferma, piuttosto lo stupore che una notizia del gente fosse già trapelata. 

Roberta Ragusa è scomparsa dalla sua abitazione la notte del 13 gennaio del 2012: da allora di lei nessuna traccia, se non qualche avvistamento ritenuto però non plausibile dagli investigatori. Dunque nessuna fuga volontaria di casa, ma un possibile omicidio con occultamento di cadavere. Ilsussidiario.net ha chiesto al professor Vincenzo Mastronardi, docente di psicopatologia forense all’università La sapienza di Roma in un caso come questo quali possono essere le modalità e le tecniche per accertare e verificare l’autenticità dei resti trovati. 

Per Mastronardi, considerando il molto tempo passato dalla scomparsa della donna e ritenendo che la sua morte sia accaduta nelle ore immediate la sua scomparsa, “la prima cosa è verificare  lo stato della saponificazione o della macerazione dei tessuti visto il tempo passato dalla sua possibile morte”. In tal senso, ci ha detto ancora il professore, “bisognerà vedere il luogo dove sono stati trovati i resti, se cioè in un posto immerso nell’acqua. In tale caso abbiamo processi di saponificazione estremamente avanzati e in quel caso ove per parametri estremi non fosse possibile riuscire a ricostruire dalle fattezze del volto o da qualche particolare dei vestiti o qualche particolare tipo di ammennicolo come ad esempio orecchini, anelli, scarpe, vestiti particolari o magari tatuaggi nascosti, a questo punto l’unico  presidio ultimo di esposizione  è la dentatura”. 

Spiega il professor Mastronardi che a questo punto “è necessario mettersi in contatto con  l’odontoiatra che ha avuto in cura la persona e quindi chiedere le ultime lastre fatte. Ciascuno di noi ha infatti i suoi bravi problemi odontoiatrici e la richiesta è quanto di più facile da soddisfare. Questo però lo ricordo in estrema ratio, cioè ultima possibilità rimasta per ottenere una identificazione dei resti”.

 Inoltre, aggiunge Mastronardi,  “è chiaro che contestualmente non può non essere fatta la prova del dna. Esso andrà fatto comparandolo a quello  di un familiare, i figli ad esempio se ci sono, oppure con prova altrettanto valida che si può avere a disposizione con del dna reperito da oggetti usati dalla donna stessa, ad esempio tracce di saliva rimanenti su qualcosa usato in passato come francobolli o documenti di vario tipo”.

Il dna infatti, conclude il professore, è sempre reperibile qualunque siano le condizioni dei resti umani ritrovati e anche a distanza di anni.