19 marzo, San Giuseppe. Festa del papà. Solo in un popolo educato dalla fede cristiana le due cose possono andare insieme. Non c’è santo più trascurato e incompreso di San Giuseppe, nei tempi moderni. Quasi che la paternità fosse una questione biologica, che la sua tenera e ferma compagnia e cura di Maria e del Figlio fosse un accessorio, un ruolo di supplenza, un contentino. Che la devozione popolare da secoli lo veneri come modello di autorevolezza paterna, e di somma delle virtù paterne, sia da considerarsi un cedimento all’ingenuità. La festa del papà con San Giuseppe non c’entra niente. I papà sono quelli che ti comprano il motorino, che si fanno uno shortino coi tuoi amici, che ti insegnano le app sull’ipad, che ti portano agli outlet a rifare il guardaroba. Sono quelli cui si rivolge la pubblicità dell’intimo o del dopobarba, dei cioccolatini o dell’ultima automobile sul mercato. Poi, ognuno di noi sa cos’è un papà. Quello che ti solleva in alto da piccolo. Che ti insegna a superare quell’ostacolo, ad accarezzare quell’animale di cui hai paura. Quello che vuol bene alla mamma, e l’aiuta. Che ti sta vicino in quel compito che non ti viene, ti accompagna a vedere la partita, tira due calci al pallone con te, o gioca a palle di neve, o ti insegna al mare a raccogliere conchiglie. Quello che aggiusta ciò che si rompe, che sostiene, corregge, scompiglia i capelli. Che dà forza. Se stamane si dà un’occhiata in piazza San Pietro, di papà così se ne vedono tanti. Magari non hanno riflettuto a dovere sulla loro identità perduta, come dicono i sociologi, magari non sono abbastanza turbati da chi ritiene superflua la loro figura, oggi che le mamme possono fare tutto da sole, perfino i figli. Ma si vede che sentono su di sé una responsabilità, che sanno sorridere, anche se gli preme il cuore la fatica di un lavoro che non c’è, o la crisi, qualche pena affettiva; che vogliono trasmettere ai figli ciò che sono, sorreggerli, foss’anche per vedere meglio il Papa. Quello, è un papà anche lui. Per tutti, anche per chi è troppo vecchio e l’ha da tempo perduto, anche per chi non l’ha mai avuto. Perché un padre è coraggio, forza, speranza, sacrificio, fermezza. Il padre è chi ti sta a fianco, con discrezione, ma senza cedere mai: lui c’è, c’è per quando lo vuoi, c’è anche quando lo sfuggi, per poterti abbracciare al ritorno. Sa mostrare misericordia, cioè un cuore grande. E’ vero che oggi di padri ce ne sono pochi, così.



E’ vero che è facile irridere la festa del papà, quella di San Giuseppe, osservando i troppi uomini nevrotici, fragili, in balia di desideri troppo piccoli per dare slancio alla vita e ai propri ragazzi.  Ma provate a guadare i disegni che migliaia di bimbi d’asilo ed elementari hanno preparato oggi per i loro papà. Non sono cambiati da venti, cinquant’anni fa. Magari il papà non ha più il borsalino in testa, magari non fuma la pipa. Ma è quello alto alto a fianco del resto della famiglia, quello che sorride e ti tiene per mano, quello del lavoro, che lo sai bene, è necessario non solo per tirare avanti, ma per cooperare alla costruzione del mondo. Un amico mi ha fatto notare, su una vagante bacheca digitale, un tweet che rimanda a una pubblicità. E’ la Durex, augura buona festa del papà a “tutti quelli che usano prodotti concorrenti”. Chiaro messaggio: se di essere papà non ne avete voglia, scegliete i preservativi giusti. Ci sarebbe da ridere, se non fosse che è la tragedia del nostro tempo: una società di vecchi, una pletora di adulti egoisti che non considerano la procreazione e l’educazione che le vien dietro come i compiti più nobili e alti per ogni uomo o donna che sia. Qui non c’entra la liceità morale o meno dei metodi anticoncezionali, la loro maggiore o minore efficacia. Una pubblicità così, in questa giornata, svilisce la natura stessa dell’uomo, che nasce solo per se stesso, e muore sempre più solo.

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