Un caso, quello di Roberta Ragusa, simile a molti altri. Scomparsa nella notte tra il 13 e il 14 gennaio dello scorso anno a Gello di San Giuliano Terme, in provincia di Pisa, della 44enne imprenditrice nessuno ha saputo più nulla. Unico indagato con l’accusa di omicidio volontario e occultamento di cadavere, come da copione, il marito, Antonio Logli, sfuggente e da tempo amante di Sara, giovane segretaria dell’autoscuola in cui lavorano. Il ruolo dei due non è mai stato chiarito dalle indagini, anche se, negli ultimi giorni, era emersa la speranza che gli inquirenti avrebbero superato la fase di stasi nella quale sono incappati da 14 lunghi mesi, con il ritrovamento, nel bosco di Montaione, di indumenti riconducibili a Roberta. Secondo alcune indiscrezioni, inoltre, la testimonianza di un uomo, che avrebbe assistito a un litigio tra la Ragusa e il marito intorno all’una di notte, avrebbe potuto inchiodare definitivamente Logli, ma tutto si è concluso in un niente di fatto. Dopo un periodo di stretto silenzio, il procuratore capo Ugo Adinolfi, ammette che i reperti non hanno influito granché sull’imprimere una svolta consistente alle indagini e sottolinea il fatto che, fino al ritrovamento effettivo di un cadavere, nessuno può essere processato. Adinolfi ridimensiona anche il ruolo del supertestimone che inchioderebbe il marito di Roberta, e colloca dopo Pasqua le date previste per gli interrogatori. “Ma senza un corpo tutto è molto difficile”, conclude, non senza aggiungere di aver intenzione di proseguire anche dopo una possibile archiviazione del caso. I tabulati telefonici di Logli e della segretaria, intanto, attestano che la notte della scoparsa della moglie, pur avendo dichiarato di essere andato a dormire alle 23.55, l’uomo telefonò all’amante – per la terza volta in quella serata – anche a mezzanotte e 17. Chiamata rapidissima, a differenza delle altre, e che potrebbe essersi interrotta per la scoperta, da parte di Roberta, del tradimento del marito.