Incontrando i delegati fraterni e i rappresentanti di altre religioni nella Sala Clementina in Vaticano, Papa Francesco ha voluto ricordare per ben due volte che “la Chiesa cattolica è consapevole dell’importanza della promozione dell’amicizia e del rispetto tra uomini e donne di diverse tradizioni religiose”. “Confermo sin d’ora – ha detto – la mia ferma volontà di proseguire nel cammino del dialogo ecumenico”. Abbiamo visto il Santo Padre comportarsi come Paolo VI con Atenagora, abbracciando e chiamando “Andrea” il patriarca Bartolomeo in quanto erede dell’Apostolo, così come Atenagora chiamò “Pietro” Papa Montini. Jorge Mario Bergoglio ha poi salutato e ringraziato tutti, a cominciare dai musulmani “che adorano un Dio unico, vivente e misericordioso e lo invocano nella preghiera, e voi tutti”. Nella loro presenza, queste le parole del papa, “vedo un segno tangibile della volontà di crescere nella stima reciproca e nella cooperazione per il bene comune”. Poi, rivolgendosi alla comunità ebraica, il Pontefice ha espresso parole di speranza affinché sia possibile “proseguire fraternamente il proficuo dialogo che il Concilio auspicava e che si è realizzato portando non pochi frutti”. Infine, un gesto di vicinanza agli atei, “agli uomini e alle donne che pur non riconoscendosi in nessuna tradizione religiosa sono in cerca della verità, della bontà e della bellezza, che è verità, bontà e bellezza di Dio”. Abbiamo commentato la significativa giornata di ieri insieme al cardinale Georges Cottier, domenicano, teologo emerito della Casa Pontificia.



Al termine del saluto di Bartolomeo I, patriarca ecumenico di Costantinopoli, Papa Francesco ha assicurato la “ferma volontà” di proseguire nel cammino del dialogo ecumenico. Vuole dirci a che punto oggi è questo dialogo e cosa implica la sua continuazione?

Il Papa ha semplicemente voluto sottolineare che, da parte della Chiesa cattolica, la volontà è decisiva. Questa implica la finalità ultima di quell’ecumenismo che impegna tutti i cristiani a rispondere alla volontà di Cristo, innanzitutto con la preghiera, dunque è assolutamente necessario portare avanti il dialogo discutendo, conoscendosi sempre più profondamente e pregando assieme. Bisogna fare tutto il possibile per compiere ulteriori passi in avanti verso quel grande dono di Dio che sarà l’unità.



Quanto è stato fatto fino ad oggi in questo senso?

Certamente molto. La presenza stessa di tanti patriarchi ecumenici all’incontro con il Papa lo conferma e rappresenta un segno forte di quanto è stato fatto dai tempi del Concilio, in cui si partì praticamente da zero. E’ però necessario continuare, senza farci spaventare da ogni ostacolo che potrà presentarsi sulla nostra strada.

Bartolomeo I in udienza era seduto accanto  a Papa Francesco. Questa scelta del cerimoniale ha un significato?

E’ uno dei tanti segni che rappresentano un avvicinamento, esattamente come quello che fece Paolo VI con Atenagora. Il linguaggio dei segni è molto importante ed è proprio con tale vicinanza che si vuole riconoscere nel cuore delle due Chiese la stessa voglia di fare la volontà di Cristo. Il valore simbolico, dunque, non è affatto da sottovalutare.



Qual è invece, secondo lei, lo stato del dialogo con le altre religioni? 

Bisogna innanzitutto ricordare che, quando si parla di ecumenismo, si intende quell’unità che caratterizza i discepoli di Cristo, mentre il dialogo interreligioso è un’altra cosa. Sono rimasto molto colpito, per esempio, dal calore con il quale è stata ricevuta la comunità ebraica, con cui Papa Francesco aveva dei contatti abbastanza profondi già in Argentina.

 

A proposito di dialogo interreligioso, cosa può dirci del rapporto con l’islam?

Si stanno compiendo molti passi in avanti anche in questo senso, in particolare grazie al Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, eppure è evidente l’assenza di unità all’interno dell’islam stesso: la maggioranza dei musulmani non è responsabile della violenza che si compie nel nome dell’islam, un terreno molto vasto in cui la Chiesa, dove e quando possibile, tenta di creare numerose occasioni di dialogo. E’ però un processo che, probabilmente, avrà bisogno di decenni o addirittura di secoli per consolidarsi.

 

Come giudica l’apporto di Benedetto XVI al dialogo interreligioso?

Benedetto XVI ha dato un grandissimo impulso. Tutto il lavoro svolto sino ad oggi non sarebbe stato possibile senza la volontà del Santo Padre, sia per la parte ortodossa che quella islamica. Fare dei progressi significa anche incontrarsi, osservarsi, perché il dialogo non può avvenire solamente a distanza, ed è proprio per questo che il processo richiederà molto tempo. Nonostante ciò, è indubbio lo straordinario contributo di Benedetto XVI.

 

A quasi 30 anni (1986, ndr) dall’incontro di Assisi voluto da Giovanni Paolo II, cosa rappresenta oggi il cosiddetto “spirito di Assisi”?

L’idea fondamentale alla base dell’incontro di Assisi è molto chiara: se esiste un sentimento religioso autentico che cerca la volontà di Dio, questo non potrà mai dividere i popoli, ma potrà solamente rappresentare un principio che porta alla pace. E’ per questo motivo che Benedetto XVI volle organizzare un nuovo incontro ad Assisi, proprio per evitare che questo stesso spirito potesse scomparire, per ricordare a tutti i credenti che il culto di Dio non è compatibile con l’odio, e che è necessario portarsi alla benevolenza verso il prossimo e verso il grande bene della pace, al quale tutti aspiriamo. E’ questo lo spirito di Assisi.

 

(Claudio Perlini)

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