E’ iniziato ieri il quarto processo per la strage di via D’Amelio, nel corso della quale il 19 luglio 1992 rimasero uccisi il giudice Paolo Borsellino e altre cinque persone. Le rivelazioni dei pentiti emersi nelle precedenti edizioni del processo hanno portato sette persone innocenti a scontare 18 anni di carcere, prima di scoprire che erano estranee ai fatti. Ma soprattutto, presto tra i testimoni sarà interrogato anche il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Ilsussidiario.net ha intervistato Stefano D’Ambruoso, ex pm antiterrorismo e deputato della Lista civica di Monti.



Dopo 20 anni di processi, la verità su quel 19 luglio 1992 deve ancora essere trovata?

Sì. Si è accertato che il pentito Vincenzo Scarantino ha fatto dichiarazioni false e devianti rispetto all’accertamento della verità che invece oggi si sta dimostrando irraggiungibile.

Che cosa emergerà nel corso del processo quater?



L’ipotesi è che ci sia stata una trattativa tra organi delle istituzioni e vertici mafiosi per evitare che si continuassero a mettere bombe in giro per l’Italia, provocando vittime innocenti, in cambio di aggiustamenti legislativi soprattutto in tema di carcere duro.

Le cose andarono veramente così?

Bisogna contestualizzare. All’epoca c’erano delle concrete situazioni che inducevano uno Stato debole, in piena stagione di Mani Pulite, ad assumere determinate posizioni. Le inchieste giudiziarie avevano azzerato un’intera organizzazione dello Stato nella figura delle persone inquisite, appartenenti ai partiti che avevano governato per 50 anni.



E quindi?

Il sommarsi degli effetti delle inchieste di Mani Pulite e dell’emergenza delle stragi di Capaci e via D’Amelio può avere fatto sì che uno Stato debole, pur di evitare un’escalation, abbia accettato di avere rapporti che, se dovessero essere accertati, dovranno essere valutati contestualizzandoli nel periodo in cui sono avvenuti. Non credo cioè che siano stati animati da volontà “deviate” da parte dei rappresentanti delle istituzioni.

Che cosa ne pensa della scelta di chiamare Napolitano a testimoniare?

Oggi è importante stabilire l’esatto bilanciamento tra gli interessi in gioco. Da un lato c’è l’interesse per l’accertamento della verità, dall’altra quello per la sicurezza garantita ai vertici delle istituzioni. La magistratura è chiamata a farsi carico del giusto equilibrio garantito tra queste due esigenze. Sarebbe opportuno che dopo 25 anni questi fatti fossero ricollocati nella loro giusta dimensione. Eventi quindi che è giusto che siano accertati, ma che non devono provocare scossoni istituzionali in un periodo come quello attuale dove abbiamo bisogno di una particolare stabilità.

 

Secondo lei come si fa nel concreto a raggiungere questo equilibrio, evitando scossoni istituzionali?

E’ un problema serio che queste indagini di fatto hanno già provocato, creando delle difficoltà per i rappresentanti delle istituzioni ai massimi livelli nel gestire un adeguato rapporto con la magistratura palermitana. Dall’altra assistiamo al rischio di delegittimazione della magistratura stessa, tanto che si sono visti alcuni suoi interpreti essere fortemente criticati dallo stesso Csm.

 

L’obiettivo della mafia con la trattativa era solo ottenere dei vantaggi sul piano del carcere duro, o qualcosa di più?

I fatti che sono emersi fino a oggi dimostrano che questa era la minaccia della mafia rispetto alla reazione dello Stato successiva alle stragi di Capaci e via D’Amelio. Non credo che siano emersi altri obiettivi dagli accertamenti già fatti.

 

Per Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, l’ex ministro Nicola Mancino era al corrente di alcuni fatti che riguardavano il pericolo di vita del magistrato, ma non avrebbe mai voluto rivelare quello che sapeva. Lei che cosa ne pensa?

Questo è quanto pensa il fratello del giudice Borsellino, e quindi è una posizione che, come le altre coinvolte in questa vicenda, è assolutamente rispettabile.

 

Il sistema del pentitismo è messo in discussione da questa vicenda?

No, non in particolare, nel senso che il rischio che alcuni pentiti possano essere manipolati è sempre esistito. I singoli fatti non possono diminuire l’importanza dello strumento legislativo.

 

(Pietro Vernizzi)