All’inizio della Settimana santa mi tocca fare una riflessione sul nostro ingrato mestiere che è quello di informare. Ricordo che una ventina di anni fa, giornalista molto in erba, misi in croce un tipo che, facendo lezione di comunicazione, disse che il fenomeno è composto da chi è fonte di una notizia e chi la recepisce per comunicarla. Lapalissiano vero? E invece no, non è sempre così.
La prima volta che mi accorsi che tra un fatto e una notizia c’era qualcosa di mezzo fu nel 1994, quando un mio caro amico con la sua famiglia venne dato per morto durante l’alluvione che colpì Alessandria e il basso Piemonte. I telegiornali dicevano che era crollata la casa al quartiere Orti e in piena notte assistetti ad un viaggio in gommone della Protezione Civile, di andata e ritorno, con la notizia che la casa non era affatto crollata e le persone risultavano tutte vive. Telefonai subito al direttore di un tg nazionale che conoscevo per dargli la lieta novella, e come risultato ottenni che per altri due giorni lo stesso telegiornale ripeté che era crollata la casa. Oggi mi capita più e meno la medesima cosa. Un mese fa su La Stampa uscì la notizia che il Salone del Libro di Torino, quest’anno, avrebbe affrontato il tema della creatività includendo in questa categoria anche la cucina, fonte di libri, trasmissioni televisive e grande interesse: Cook-Book. E subito è sbottata la polemica sul concetto di cultura (e questo ci può anche stare, venendo da un quotidiano dove il capo della cultura, Nico Orengo, autore di libri che parlavano di acciughe e Barolo, fra l’altro, un giorno scrisse, in polemica con le rubriche di cibo e di vino a me affidate: “Più tomi e meno tome”). Il fatto è che il sottoscritto, dal Salone del Libro, è stato invitato a dare un contenuto a questo evento che si svolgerà a metà maggio, percorrendo con alcuni cuochi-autori di libri quella che è stata ed è la creatività italiana. Cioè un fatto concreto, tutt’altro che folcloristico, che ha prodotto una serie di fenomeni, anche economici.
Ci stiamo lavorando, attendiamo conferme e quant’altro, ma nel frattempo leggo sul Corriere della Sera di sabato che a Torino si inaugura il nuovo spazio Cook Book. E subito dopo: “Anche a Torino Cracco e i suoi fratelli si esibiranno, parlando e cucinando, per dimostrare che il mondo del cibo è affine a quello del libro.” Oibò, che io sappia Cracco non ci sarà proprio, non lo vedo nel palinsesto che è ancora da perfezionare, non mi pare neppure che sia in Italia per quel periodo. Ma ormai la sintesi è fatta e funziona così: cooking show = Cracco. E nasce la Cibosophia, scrive il Corriere, che sembra lontana anni luce dalla nouvelle cuisine e dallo slow food, altre semplificazioni che convivono col “chilometro zero”.
Cosa sarà poi di destra e cosa si sinistra ? Gaber se lo chiederebbe, mentre i giornali fanno a gara per indovinare il prossimo ministro dell’Agricoltura. E spuntano i nomi di Carlin Petrini e Oscar Farinetti, che potranno essere qualsiasi cosa tranne dei fessi che si immolano per un governo alla minestrina, quando loro arrivano dalla sostanza della carne di fassone e del Barolo. Fuor di metafora, la semplificazione della comunicazione è deprimente, perché tende a portare tutto al livello dell’audience e non del valore. Ma allora un anno fa, al governo, avrebbe dovuto andare Benedetta Parodi no? E Bruno Vespa presidente della Repubblica, come lo vedreste? (fuochino). La cucina italiana, come il vino – quando si capirà sarà troppo tardi – sono una cosa seria. In tutto il mondo la vogliono ed è di ieri la notizia che i grandi gruppi guardano alle nostre birre artigianali. Qualcosa vorrà pur dire (?). Ma non per questo Teo Musso deve diventare ministro degli Esteri (già: che ci faceva sabato pomeriggio Bersani in un pub di Roma?).