In Italia si chiamano Francesco circa 999.301 persone  ovvero approssimativamente 1,6561% della popolazione Italiana. Questo secondo statistiche già vecchie, perché in una settimana soltanto chissà quante famiglie hanno scelto il nome “romanz” per i loro bambini, in onore del nuovo papa. Francesco, cioè francese: come il padre del giovane di Assisi, ricco mercante, che proprio ai frequenti viaggi in Francia doveva le sue fortune. Forse lui stesso, quando non era ancora un burbero dal cuore duro, o la mamma, troppo sottomessa ai dettati patriarcali, cantavano la piccolo in culla qualche chanson, qualche ballata dei trovatori d’oltralpe, qualche storia d’amor cortese che dev’essere restata nell’anima, al ragazzo che volle farsi cavaliere, immischiarsi in una guerra non sua, prima di scegliere un’altra vita. Certo aveva a mente quei versi quando s’incantava davanti a Messer lo Frate Sole, a Madonna Povertà. A lei scelse di dedicare la sua vita: dove povertà significa umiltà, significa cura per chi e cosa è piccolo e fragile, indifeso. Perché la povertà in sé non è una bella cosa, ma chi fa di tutto per vincerla sì, segue il Maestro. Chi fa di tutto per difenderla, per ergersi cavaliere a suo schermo. E’ il programma del Pontefice venuto dalla fine del mondo, così netto nel parlare e agire a tutela dei poveri, dei piccoli, fin dal grembo materno. Gli farà piacere, saprà commuoversi alla storia di Simona e Pablo, giovane coppia di sposi di Padova, già genitori di una bambina, che hanno voluto affidare alla protezione dell’alter Chrusts, e del nuovo Papa, la loro creatura. Figlia di un miracolo, fin d’ora: perché Simona l’ha partorita in coma, al sesto mese. Perché la sua gravidanza è stata segnata da una tragedia: una malattia terribile, forse il morbo della mucca pazza, lo ricordate? La sfianca, la conduce in un sonno da cui si risveglia una volta soltanto, poi non più. Lotta per la vita in terapia intensiva, intubata, attaccata ai fili di macchine che le danno nutrimento e respiro. Non ha visto il suo bambino tremare fuori dal suo corpo, prima che mani soccorrevoli e esperte lo deponessero in una mangiatoia di vetro, al caldo, per accudirlo fin quando non ce l’avrebbe fatta da solo. Francesco, ha voluto chiamarlo il papà.



Francesco, chissà se Simona ha sentito, dalle nebbie in cui vaga, se una coscienza minima ha potuto essere attraversata dal baluginare di questa speranza: non morirai, almeno, non morirai in eterno, anche per questo bimbo che hai generato. Otto etti, sembrano pochissimi ma non lo sono per l’età gestazionale. E’ forte, Francesco, ce la farà benone, papà e sorellina lo vedranno fra un paio di mesi a casa. E la mamma? Potrà abbracciarlo, o il suo dono sarà per il mondo, per sfidare la morte? Un dono per la sua famiglia, che già fa a gara per curarsi di lui, per aiutarlo a crescere, un dono per il suo paese, dove preghiere e solidarietà si accavallano, con la stessa passione. Un dono per il mondo, per cui un bambino nel ventre materno è poca cosa, non può far sentire la sua voce, può essere gettato via come un cencio, può essere usato, programmato, come una cosa. Francesco, piccolo cuore che batte forte con quello della madre addormentata,  la vita ti ha voluto, il tuo papà e mamma, i medici ti hanno voluto. Il mondo è tuo. Con Simona accanto, o con lei in cielo, il mondo è tuo. C’è un gran santo a vegliare su di te, e un grand’uomo del cui nome onorarsi, quaggiù. Chissà che un giorno non venga a benedire la tua innocenza.

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