La morte del magnate russo Boris Berezovsky, trovato impiccato nella siua casa di Ascot, a ovest di Londra, ha dato uno scossone all’opinione pubblica. Benché la polizia britannica escluda l’omicidio, affermando che l’uomo si sarebbe suicidato, in molti hanno ventilato l’ipotesi che l’oligarca – da sempre grande nemico di Putin – sia stato invece fatto uccidere. Il fatto poi, che, subito dopo il rinvenimento del cadavere dell’uomo, i media russi abbiano diffuso la notizia che il suo ex compagno d’affari, attualmente patron del Chelsea, Roman Abramovich, fosse stato fermato in America dall’FBI, informazione rivelatasi poi del tutto falsa, e che anche il suo ex avvocato, il francese Olivier Metzner sia stato trovato morto – altro caso etichettato come suicidio –  due settimane fa, concorre a creare un quadro un po’ nebuloso della vicenda. Per capire se tra questi fatti potrebbero esserci dei collegamenti e per indagare meglio sulla morte di Berezovsky, apparentemente non sospetta ma che dà adito a dubbi legittimi, abbiamo contattato Dario Fertilio, giornalista de Il Corriere della Sera e scrittore, cofondatore dei Comitati per le Libertà.



Semplice suidicio, quello di Berezovsky, oppure è legittimo sorga il dubbio – come sostiene qualcuno – che l’ex oligarca russo sia stato fatto uccidere? 
Direi che i dubbi che ci colgono hanno una radice storica nella stessa essenza dell’Unione Sovietica, in particolare nel fatto che uno dei suoi grandi teorici, Trotsky, sosteneva appunto che il terrorismo (inteso come soppressione silente di individui “scomodi”) fosse uno degli strumenti del tutto praticabili per ottenere la vittoria del potere rivoluzionario. E Tesi condivisa (e applicata) anche da Lenin e da Stalin che, secondo alucni esperti di Cremlinologia, se ne sarebbe servito per fare avvelenare e uccidere Lenin stesso.



Quindi il potere in Russia e questo tipo di terrorismo sono inscindibilmente legati?
Esattamente: il terrorismo nelle sue varie forme interne ed esterne all’Unione Sovietica, è stato da sempre connaturato al potere bolscevico, che nel corso decenni si è sviluppato in tre modi: innanzitutto attraverso l’ideologia (sbandierata ai tempi del comunismo e dell’URSS con il nome di “rivoluzione proletaria”, “società senza classi”, “progresso scientifico e tecnologico”…), in secondo luogo con il cosiddetto kgbismo, di cui oggi l’esponente più ovvio è Vladimir Putin, che è un ex agente del Kgb e, infine, che è ciò che ci interessa ora, con le azioni di “specialisti”.



Chi sono e in che modo agiscono questi “specialisti del terrore”?
Sono uomini addestrati tecnicamente e scientificamente per mettere in atto le forme di terrorismo connaturate al potere sovietico, con diverse modalità. Ad esempio quella dinamitarda, come gli attentati che si diceva commettessero i ceceni durante la guerra di Cecenia, che avevano però tutta l’aria di essere stati inscenati dai russi per compattare l’opinione pubblica in chiave anticecena. Oppure la tecnica degli avvelenamenti, che è stata applicata in un’infinità di casi e la cui principale caratteristica è quella di non lasciare tracce.

Riguardo agli avvelenamenti vengono in mente alcuni casi famosi…
Sì, come quello dell’agente segreto “dissidente” Litvinenko, un nemico personale di Putin, che venne avvelenato in modo misterioso e che morì dopo una lunga agonia, accusando di questo lo stesso Putin. O Jushenko, il primo ministro ucraino, che fu avvelenato – probabilmente con la diossina – perché era considerato, soprattutto in quel momento, un nemico del potere russo che temeva un’Ucraina troppo indipendente.

Sembra che avvelenare i nemici sia un metodo molto usato dagli “specialisti”...
Certo, dal momento che non lascia tracce: non a caso il motto del Kgb era “mente fredda, cuore caldo e mani pulite”. Ma dal punto di vista tecnico si possono trovare una grande quantità di metodi di eliminazione di chi è considerato nemico. Oltre all’avvelenamento ci sono tecniche più brutali, come il caso di Anna Politkovskaja che fu assassinata sulle scale di casa sua, a pochi giorni dal compleanno di Putin, fatto che venne interpretato da alcuni come un rozzo tentativo di ingraziarsi il Presidente (che non gradì) eliminando un’avversaria molto impegnata nell’appoggio all’indipendenza cecena.

Perché si ricorre con tanta facilità a questi atti di specialismo terroristico? Vi si ricorre non solo per eliminare alcuni pericolosi avversari, ma perché simbolicamente questo è un avvertimento: come dicevano le Brigate Rosse, “colpirne uno per educarne cento”.

E quindi Berezovsky sarebbe solo l’ultima vittima di questa catena di omicidi a scopo di “avvertimento”?

Direi proprio di sì: è molto strano che si sia ucciso impiccandosi senza nemmeno lasciare un messaggio. Questa ha tutta l’aria di un’operazione compiuta dagli specialisti con le “mani pulite”. Quello di Berezovsky non è l’omicidio di un nemico dello stato russo, ma vale più che altro come avvertimento per gli altri: chi tocca il potere muore.

Vede dei collegamenti tra la morte di Berezovsky e quella di Olivier Metzner?
Difficile rispondere con certezza: in questi casi gli specialisti agiscono separatamente e cercano di mascherare tutti i possibili collegamenti. Non ritengo comunque probabile che abbiano agito le stesse persone con gli stessi metodi.

Mentre la falsa notizia circolante riguardo l’arresto di Ambramovich di cosa è indice?
Questo è il tipo esempio di “disinformazione”, il fatto cioè che, in coincidenza con questi attentati, sia diffondano attraverso i media – ovviamente compiacenti e controllati dal potere – una serie di notizie false che, ad esempio, dicono che la vittima era depressa, piena di debiti, perseguitata da rimorsi di coscienza.

A che scopo?
Il fine è quello di diffondere una serie di spiegazioni che accontentino il pubblico superficiale facendo distogliere l’attenzione dall’importanza del delitto in sé. L’opposizione quindi non è solo soppressa fisicamente, come si faceva una volta, ma l’opinione pubblica è sommersa da un’infinità di notizie più o meno false, non verificabili e insinuanti.

Quindi i delitti, i media “corrotti” e gli intrighi di potere fanno tutti parti di un grande progetto ordito da una mente a capo di tutto? 
In realtà in un Paese vasto come la Russia non è possibile parlare di un progetto di potere unitario, perché ci sono mille poteri, mille congiure e alleanze sotterranee, per cui non è detto – per essere chiari – che il mandante di molti omicidi sia Putin.

Putin è solo uno tra i tanti, dunque?
Putin è solo quello che tira le fila. I mandanti sono il blocco di potere russo in gran parte mafioso che sostiene il governo e che da esso è sostenuto: non dimentichiamo che il potere mafioso è una componente essenziale del sistema statale russo.

 

(Maddalena Boschetto)