Dentro i fatti che ci hanno condotto per mano fino a questo giorno di Pasqua pare esserci una costante che, come un fiume carsico, è riemersa periodicamente, determinando il clima di molte delle vicende che abbiamo vissuto: la fretta. Essa ci è stata compagna nell’impazienza con cui desideravamo vedere che cosa sarebbe accaduto in Vaticano dopo la rinuncia improvvisa di Benedetto XVI, e ci ha determinato nel voler capire come sarebbe finito il delicato rebus emerso dalle elezioni politiche dello scorso febbraio.



La fretta è una costante della nostra vita pubblica e personale. Divoratori di cose, vorremmo solo che tutto venisse “al dunque”, che molte circostanze della vita ci fossero risparmiate per poter assistere, lieti, alla vittoria del Bene sul Male. E invece le cose non vanno così. Le circostanze, anche quelle più faticose, non ci sono risparmiate e ognuno di noi sembra essere chiamato ad attraversare percorsi tortuosi e vie strane per maturare e crescere. Noi abbiamo paura di tutto questo e questa paura sorge in noi da un’altra paura, quella del dolore. La paura di soffrire è umana, comprensibile, forse ancestrale: noi vorremmo che ci fosse risparmiato il dolore perché vorremmo poter evitare l’incontro con il Male.



Eppure il Male c’è. E tutti i giorni, malgrado i nostri sforzi per non pensarci, ce lo ritroviamo di fronte: nell’ennesima malattia di un nostro amico, in una morte particolarmente dolorosa, in un handicap morale o fisico o nei postumi difficili di una storia personale che non ci lascia mai tranquilli. Il Male c’è e quel che è peggio è che non è soltanto davanti a noi o attorno a noi, ma è in noi.

Dice una canzone di Claudio Chieffo, parlando dei carnefici di Auschwitz, che “non è possibile essere come loro, non è difficile essere come loro”. Tutti noi facciamo il Male. E spesso ci spaventiamo nel prendere contatto con quello che ognuno può fare non solo con i fatti, ma anche semplicemente con le parole. Quanti amici abbiamo messo in ginocchio con le nostre frasi, con i nostri atteggiamenti, con il nostro comportamento? E da quanti siamo stati messi in ginocchio? Spesso il nostro mondo sembra una polveriera nella quale ci umiliamo reciprocamente, lasciandoci sempre più soli con le nostre ferite e i nostri perché.



La cosa pazzesca è che non di rado continuiamo a vivere facendo finta di niente. Ma il nostro cuore lo sa che cos’è il Male. E per questo ha paura della realtà e delle circostanze: perchè ha paura di sentire tutto il dolore che esso provoca, quasi potesse uccidere quella domanda di vita e di bene che abbiamo nel cuore. Noi abbiamo il terrore che il dolore ci uccida e per questo abbiamo sempre un’ultima reticenza nei confronti della realtà: perché temiamo che essa possa riaprire tutta la ferita della vita e il dolore che questo comporta.  

Anche Gesù aveva paura. E in quel venerdì santo di tanti anni fa non ci ha pensato due volte a chiedere al Padre che le circostanze tremende, che Egli sapeva dovevano accadere, gli fossero evitate. Anche Gesù temeva di incontrare il Male. Anche Lui temeva di essere ucciso dal dolore. E ha pianto sangue. Ma Dio non gli ha risparmiato quel dolore e quel Male. Poteva, ma non lo ha fatto. Ed è lì che è accaduto il miracolo di un uomo che, dentro il dolore e dentro il Male, ha detto “sì” all’amore di Dio.

Quel sì è stato così vero e così potente che perfino il dolore, perfino il Male, hanno avuto paura. E si sono fermati. Per questo Dio non ci evita le circostanze. Per questo Dio non asseconda la nostra fretta. Perché dentro la realtà possa emergere un “sì” così forte al Suo amore da fermare il Male, da spiazzare la morte, da spaventare il dolore, e permettere a Dio di ritornare ad agire. È come se fosse necessario che la nostra libertà facesse una scelta, dentro il Male e dentro il dolore, affinché Dio possa tornare potentemente ad agire. Questa è la Resurrezione, questa è la Pasqua: lo spazio che la nostra libertà apre all’azione di Dio che, misteriosamente, fa risorgere la vita là dove il Male sembrava avere vinto, lá dove il dolore sembrava aver dilaniato l’io fino in fondo.

Per questo la Pasqua è la festa più misteriosa che esista: perché per viverla, per parteciparla, occorre non scappare, non arroccarsi, non fuggire né da se stessi né dal Male che c’è attorno e davanti a noi. Chi scappa ha già perso in partenza perché non potrà risorgere; chi rifiuta di riconoscere il proprio Male, o rifiuta di abbracciare il male del proprio marito, della propria moglie, dei propri figli o dei propri amici, si è già perso il meglio, il vero “bello” della vita. Che non è il Giovedì Santo, quando si è tutti insieme a tavola con Gesù, e non è neppure il Natale delle cose spensierate che ci fanno piacere, ma è la brezza del mattino di Pasqua, quando ti accorgi che il “sì” che hai detto, abbracciando la Croce, ha srotolato la grossa pietra del Sepolcro in cui tu e la tua vita eravate rinchiusi. E così hai davvero ricominciato a correre.

Non è poco: è quello che il nostro cuore aspetta per poter vivere e attraversare tutto, dall’amore al lavoro, dall’università al proprio vissuto personale. Si chiama Pasqua. È il momento di passaggio da una vita in ostaggio della propria rabbia e della propria sofferenza ad una vita libera, finalmente, di amare e di lasciarsi amare. Senza dover escludere nessuno, senza dover censurare nessun pezzetto della propria storia. Nemmeno il proprio Male. E neppure quello degli altri.

Sembra un sogno, è vero. Eppure è reale. Si chiama cristianesimo. E chiunque può viverlo. Basta avere la semplicità di dire “si”. Buona Pasqua a tutti.