Ivonne Veratti è un’insegnante, ormai a riposo, che abita a Massa Finalese, uno dei paesi colpiti dal terremoto dello scorso maggio. Ecco una sua riflessione dopo le recenti feste natalizie.

Dopo il terremoto

Maggio 2012. Massa Finalese, un piccolo paese della bassa modenese, colpito dal terremoto. Evento spaventoso che ha portato morte e distruzione nelle nostre vite e nelle nostre certezze. Nulla è più come prima. Ciò che davi per scontato, ora è un dono che impari ad apprezzare guardando le rovine che ti circondano. Uno sguardo alla tua famiglia che c’è, alla tua casa che fortunatamente ha resistito, agli amici con i quali puoi ancora incontrarti per parlare del futuro.



Dopo aver dormito in auto e tentato di raccogliere i cocci di ciò che è rimasto, ti accorgi che tutto è dono. L’acqua calda della doccia, un buon caffè, sorseggiato con le amiche, nella tua casa, che ti sembra più bella e accogliente.

Grazie, mi viene da dire, per ciò che mi è rimasto ma anche per ciò che mi è stato tolto, perché ho imparato ad apprezzare i doni ricevuti, e a condividerli con altri, ho riscoperto l’amicizia e la compagnia di persone che incontravo tutti i giorni e che non avevo mai salutato. Ho teso la mano, con discrezione e disponibilità a quelli che la casa l’hanno perduta.



Questo avvenimento ci ha aiutati a crescere, a ritrovare quello spirito di solidarietà che questa frenesia del vivere, stava per cancellare.

La mia prima reazione è stata quella di ricominciare subito, ed ho comprato fiori, fiori colorati che ho disseminato in casa e in giardino. Ho voluto abbellire le ferite che avevano sconvolto le mie giornate, con l’intento di renderle meno dolorose, ma soprattutto per non scordare che la bellezza è segno di un Mistero che si fa vivo anche negli eventi più drammatici.

Così è trascorsa l’estate, con qualche scossa ancora, mentre tutti cercavano di ricostruire una speranza per il futuro.



Poi sono arrivate le nebbie, i primi freddi e…il Natale.

E’ stato un Natale strano fuori da ogni schema.

Le campane non hanno suonato le chiese non ci hanno accolto.

I centri storici dei paesi sconfitti sono stati comunque illuminati da alberi di Natale con tante luci colorate, ma il clima non era lo stesso. L’aria frizzante di quei giorni era comunque mesta, senza fronzoli, ridotta all’essenziale.

 

Quali festeggiamenti? Quali desideri per il futuro, se non che tutto potesse tornare come prima.

Le case e gli edifici feriti erano lì, a ricordarci la nostra impotenza di fronte alle forze della natura.

Ma l’uomo, pur ferito e zoppicante, divenuto migrante nel suo paese, guarda avanti senza fermarsi, conscio della sua fragilità ma indomito nella sua voglia di ricominciare.

Il piccolo Presepe, dove è nato un Dio povero e apparentemente sconfitto, ci ricordava che Qualcuno si è fatto mendicante della nostra povertà per condividere la nostra vita e darci la speranza di un futuro, che va oltre i tanti problemi che dovremo ancora affrontare.

 

(Ivonne Veratti)