Il 6 marzo si festeggia la Beata Rosa da Viterbo. Le sue origini sono molto umili, la sua vita estremamente breve. Nasce nel 1233 nella contrada di Santa Maria in Poggio a Viterbo, in una famiglia contadina, da due semplici agricoltori, Giovanni e Caterina. Date le precarie condizioni igienicosanitarie in cui vive e probabilmente il destino a cui è chiamata, la piccola Rosa si ammala giovanissima, già intorno ai sedici anni le testimonianze raccontano che la sua salute è seriamente in pericolo, e nonostante tutto riesce a essere ammessa tra le Terziarie Francescane, scegliendo di aderire alla loro regola, rimanendo però in casa, accudita dai genitori, tormentata dai dolori della malattia.



Dopo una iniziale, apparente guarigione, avvenuta probabilmente per via miracolistica, la giovane Rosa inizia a girare per la nativa Viterbo, si racconta, portando sempre in mano un crocifisso, pregando ad alta voce, diffondendo la parola di Cristo oltre che immagini di Santi. La sua attività di evangelizzazione si colloca come operazione strategica in un momento in cui la cittadina di Viterbo è stata donata dai suoi abitanti all’imperatore Federico II acerrimo nemico della Santa Sede. Sono gli anni in cui l’Italia tutta è devastata dalle lotte intestine tra Guefi e Ghibellini, e l’ostinato lavoro di predicazione della Beata Rosa è proprio un tentativo di riavvicinare i viterbesi alla fede Cattolica, seppur nella difficoltà di predicare in un mondo di ghibellini e anticlericali nemici appunto, del Papa e della Chiesa cattolica.



Per le sue predicazioni impopolari, per la sua fede cieca e ostinata, per il grande carisma che seppur giovanissima esercita sugli abitanti della cittadina laziale, Rosa, ancorché piccola e malata, viene esiliata dal podestà di Viterbo in una località limitrofa: Soriano del Cimino e successivamente a Vitorchiano. Le testimonianze raccontano anche che in un’occasione uscì miracolosamente salva dalle fiamme di un incendio. L’esilio che coinvolge tutta la famiglia, dura poco meno di due anni: nel 1250, infatti, la città di Viterbo passa di nuovo nelle mani della Santa Sede alla morte di Federico II (morte tra l’altro predetta dalla Beata Rosa durante il suo esilio), ma le condizioni di salute della Beata si sono fortemente aggravate, al punto che non avrà più la forza di tornare per le strade a predicare la parola di Cristo e diffondere il verbo di una fede a lei carissima: muore dopo dolori e sofferenze il 6 marzo del 1251 appena diciottenne.



Il suo piccolo, gracile corpo viene sepolto senza una bara, nella terra nuda, nei pressi della Chiesa di Santa Maria in Poggio detta “della Crocetta”, ma dopo meno di un anno avviene la traslazione della salma per volontà del papa Innocenzo IV all’interno della stessa chiesa. Bisognerà aspettare il 1257, anno in cui Viterbo diventa Sede Papale al posto di Roma, perché le spoglie della Beata Rosa vengano spostate nel Convento delle Clarisse. Il processo di beatificazione viene completato nel 1457 e da allora, ogni anno, il 4 settembre per le vie di Viterbo si svolge una solenne processione dedicata alla Beata Rosa: decine di persone portano in spalla un simulacro in legno e tela molto imponente che raffigura la giovane Rosa nell’atto della sua predicazione. Si chiama la macchina di Santa Rosa, è una sorta di campanile artistico illuminato, che viene rinnovato e restaurato con cadenza quinquennale: ha un’altezza di circa trenta metri e un peso di oltre 50 quintali.

Sebbene non si sia osservata, inizialmente alcuna precauzione sullo stato di conservazione del corpo delle Beata, il suo cuore è rimasto miracolosamente intatto, nonostante la teca nella quale la santa era esposta fosse addirittura dotata di un’apertura per consentire ai fedeli di toccarla. In seguito, altre indagini scientifiche effettuate intorno agli anni ‘90, sul cranio della Beata, hanno consentito di rilevare che la giovane Rosa doveva avere un’altezza di circa 1,55 metri, avere occhi blu e capelli scuri. Si è anche risaliti all’origine della sua malattia, che l’ha portata a morire così giovane: cioè la mancanza congenita dello sterno, che le ha causato, ovviamente seri problemi respiratori durante tutta la sua breve esistenza.

A conferma delle violente aggressioni subite dalle truppe di Federico II durante l’assedio della città di Viterbo, è stata infine rilevata, sul suo braccio sinistro, una profonda cicatrice.