Sabato pomeriggio, 2 marzo, nel Monferrato sta spuntando il sole sotto le nuvole dell’ultimo inverno e Gemma Capra Calabresi è appena arrivata a Villa Morneto, nel cuore di quello che è uno dei territori più castellati d’Italia. Giovanni, Cinzia e Lorenza, i miei amici di Milano, sono andati a prenderla a casa e subito sono entrati in confidenza, tanto che Giovanni le ha detto: “Mi raccomando: un incontro breve che poi dobbiamo andare a fare acquisti a Golosaria”. Nella sala di questo fascinoso relais di Vignale Monferrato, in mezzo alle colline del Grignolino, c’era il pubblico delle grandi occasioni: il questore, il procuratore della Repubblica, il sindaco, ma anche gente semplice e ragazzi, venuti apposta per partecipare ad un incontro dal titolo un po’ strano “Il cibo e la forza dell’amore”. Con Gemma, anche Davide Gibertoni, che ha scritto il libro “Il sorriso di una farfalla”, dedicato al suo bambino affetto da Epidermolisi Bollosa. Gemma e Davide: due storie di sofferenza che si sono trasformate nella testimonianza di una positività, dove ogni particolare della vita si lega col tutto. Ha iniziato a parlare Gemma, ed è andata subito al sodo quando ha ricordato quel 17 di maggio del 1972 quando suo marito, il commissario Calabresi, è stato privato della vita. “La fede non ti toglie via il dolore… ma lo riempie di significato – ha subito detto – per questo non si può dire “Perché a me ?”. Anche perchè, se apri la porta della sofferenza ti accorgi che non sei mai sola”. Lei aveva 25 anni, mamma di due bimbi e un terzo in arrivo, tutti poi immortalati in una bella foto che il secondogenito Mario, oggi direttore della Stampa, ha scelto per il suo libro “Spingendo la notte più in là”. Ma di una cosa – benché fosse giovane – Gemma era certa: “Avrei educato i miei figli nella gioia di vivere e non li avrei mai cresciuti nell’odio e nel rancore. Perchè l’odio e il rancore tolgono il gusto della vita”. E per chi ne ha sentito parlare, sembrano le medesime parole di Rita da Cascia, anche lei di maggio, santa dei miracoli impossibili. La gente era silenziosa in quella sala, commossa. E mai parola più adatta sembra essere quella di “colpita”. Poi un esempio che, ovviamente, m’ha sorpreso: “Quando ogni anno Paolo mi fa arrivare il libro “Adesso” a casa, subito lo sfoglio tutto, ma poi lo lascio li ed ogni mattina col caffè mi leggo la pagina del giorno: perché quei 365 giorni da vivere con gusto li voglio vivere uno per uno”.
E allora ecco la cucina e poi la tavola: la prima come strumento per dire ti voglio bene a chi è con te, secondo quella legge mai scritta di chiamarci a partecipare alla vita; la seconda, la tavola, come luogo dove – ha detto Gemma – “abbiamo sempre preso le decisioni più importanti”. Ma la cucina è anche evocativa di quella positività che necessariamente ha toccato ciascuno di noi: “Come il sugo, il cui odore – mi dice spesso mio figlio – mi richiama alla vita – o come la vite: finché c’è qualcuno che la coltiva possiamo stare sereni”. Ma poi Gemma, che ha ascoltato anche la storia di Davide e del dono di quel suo bambino che risponde agli stimoli solo se qualcuno gli sorride, ha detto una cosa semplice e importante: “Quando succede qualcosa di grave a qualcuno, non facciamogli mancare mai quello che vorremmo dirgli. Non sapete quanto sia importante.”
Le ore che sono venute dopo sono state un abbraccio, con la gente che sembrava aver sentito parole nuove. E non smetteva di parlarle. Poi la visita a Golosaria nel castello di Casale Monferrato, con la cena insieme bevendo il Grignolino. La sera ho fatto fatica a prendere sonno: è stato un incontro eccezionale dove anche il cibo e il vino avevano il loro giusto posto dentro quel grande mare che è la vita: ne poco più sopra (l’edonismo), ne poco più sotto (il relativismo). E tutto il giorno dopo è stato segnato, anche col sole pieno che annunciava la Primavera, da quel sorriso di Gemma stampato su un volto certo. Non lo dimenticherò mai.