Due gli incontri del Collegio cardinalizio che si sono tenuti ieri in vista dell’apertura del Conclave, il primo in mattinata, un secondo nel pomeriggio. Due incontri invece di uno, a differenza dei giorni precedenti: un fatto assai significativo del desiderio di discutere, parlare, approfondire che anima i cardinali convenuti a Roma. E che richiede tempo. E’ questo, secondo Gianni Valente, dell’Agenzia Fides e collaboratore di Vatican Insider, uno dei motivi per cui neanche ieri sera è stato comunicato quando inizierà il Conclave: “Tutto sembra convergere, come ha detto anche Padre Lombardi oggi (ieri, ndr), verso il desiderio prevalente tra i Padri di prendersi tutto il tempo necessario per discutere”.
I cardinali hanno tenuto ieri due incontri, ma nemmeno ieri sera è uscita la data di inizio del Conclave. Perché?
Padre Lombardi, riportando una sua previsione, ha detto che nemmeno ieri sarebbe uscita la data e così è stato. Tutto infatti, a cominciare dal fatto che tanti cardinali vogliono intervenire, così come il numero degli interventi istituzionali a cui assistiamo, sembra convergere verso l’atteggiamento che vediamo prevalere tra i cardinali elettori, quello di prendersi il tempo necessario.
Ieri si sono toccati diversi punti, tra cui la carità e l’impegno della Chiesa nei confronti dei poveri.
Un pontificato che guidi una Chiesa amica degli uomini non può non prendere atto del momento che si sta vivendo dal punto di vista dell’economia e della sua crisi. Fenomeni come la globalizzazione, che all’inizio erano stati salutati e accolti con l’ottimismo riservato a meccanismi che parevano di espansione illimitata, oggi sono invece in discussione. Ricordiamo poi i molti pronunciamenti fatti da Benedetto XVI su questi temi. Il prossimo pontificato non potrà non misurarsi con queste grandi questioni, per chiarire le quali occorre il tempo debito.
Sono poi intervenuti i cardinali responsabili dei dicasteri economici; si è parlato dello stato economico della Chiesa.
Anche questo rientra nella prospettiva di una Chiesa che riscopre la sua natura. Gli strumenti di amministrazione finanziaria, al pari degli altri, ci sono e ci sono sempre stati, ma deve essere chiara la loro finalità e la loro struttura. Non ultimo c’è l’aspetto della trasparenza.
Lei pensa che anche lo Ior sia una preoccupazione dei cardinali?
E’ ovvio che sul tema dello Ior c’è una esagerazione da parte della stampa. In realtà le preoccupazioni che animano i cardinali e comunque i cristiani sono diverse da quelle dello scandalismo giornalistico e la domanda sul ruolo che hanno questi enti è di conseguenza pienamente legittima. La differenza sta nel fatto che il modo di affrontare queste tematiche è un riflesso delle sguardo di fondo che caratterizza la natura della Chiesa, la quale deve chiedersi se è solamente una organizzazione ben strutturata o se è ciò che il Concilio Vaticano II definisce come corpo che riflette la luce di Cristo. Naturalmente, poiché la Chiesa vive nel mondo, anche questi tipi di strumenti vanno usati.
Lei è profondo conoscitore della Chiesa d’Oriente: come vive questo momento storico?
Proprio ieri ho avuto la possibilità di intervistare il cardinale Bechara Boutros Raï, Patriarca di Antiochia dei Maroniti (Libano, ndr) che sottolineava come a questo Conclave prederanno parte con diritto di voto ben quattro capi di Chiese d’Oriente e il grande rilievo che giustamente ha questo fatto. Di qui l’importanza del contributo di quei padri, a sottolineare l’universalità della Chiesa. Anche se la Chiesa di Roma non coincide con la Chiesa latina la loro presenza sta a significare come nell’esperienza cattolica la diversità è ricchezza e non ostacolo.
C’è anche il patriarca emerito copto d’Egitto.
Infatti. Queste personalità stanno sottolineando, nelle Congregazioni, la presenza delle cristianità del Medio oriente e del mondo arabo. Il patriarca d’Egitto in particolare ha insistito sul fatto che i cardinali devono tener conto di questo, non possono dimenticare che il cristianesimo è iniziato nel Medio oriente. Aver presente la condizione che stanno vivendo le comunità cristiane di quella regione è un antidoto per il collegio cardinalizio all’avvitarsi solo sulle vicende che riguardano la Curia, ed un monito a riaprire lo sguardo all’universalità della Chiesa.