Gli imputati hanno agito per turbare la regolare attività dei corpi politici dello Stato Italiano e in particolare del governo della Repubblica. Con questa accusa, rivolta allo stesso tempo a mafiosi e rappresentanti delle istituzioni italiane, il gup Piergiorgio Morosini ha rinviato a giudizio tutti i dieci imputati dell’udienza preliminare sulla trattativa Stato-mafia. Alla sbarra compariranno quindi i tre capimafia Salvatore Riina, Leoluca Bagarella e Antonino Cinà, l’ex ministro Nicola Mancino, il senatore Pdl Marcello Dell’Utri e gli ex vertici del Ros dei carabinieri, i generali Mario Mori e Antonio Subranni, oltre all’ex colonnello Giuseppe De Donno. Nel processo che si aprirà il prossimo 27 maggio saranno imputati anche il pentito Giovanni Brusca, ex componente della Cupola mafiosa, e Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo. Commentiamo gli sviluppi della vicenda insieme allo storico Giuseppe Casarrubea.



Cosa significa vedere capimafia e rappresentanti delle istituzioni salire sullo stesso banco degli imputati?

E’ la chiara conferma di quella teoria che personalmente ho sempre sostenuto, anche con documenti alla mano, secondo cui la mafia non è un fenomeno astratto dal contesto istituzionale, ma è qualcosa di organicamente legato alle istituzioni. Con questa decisione, quindi, viene ribadita una linea interpretativa che ci offre la vera dimensione della collusione della mafia nella storia della Repubblica italiana.



I legali di Dell’Utri parlano del futuro processo come “un inutile spreco di energie e denaro”, mentre secondo i magistrati di Palermo rappresenta “uno stimolo per andare avanti nelle ulteriori indagini”. Cosa ne pensa?

Le indagini hanno certamente un loro supporto documentario, oltre che indiziario, sulla base del quale il giudice ha preso questa importante decisione. La trattativa tra Stato e mafia non è “presunta”, come in passato si sospettava, ed è chiaro che oggi la magistratura è in possesso di elementi probanti tali da suffragare la scelta di approfondire ulteriormente.



Antonio Ingroia, oltre a dirsi soddisfatto del rinvio a giudizio, ha detto che “quel che è certo è che le istituzioni politiche non hanno fatto la loro parte per accertare la verità”. Crede sia vero?

Su questo Ingroia ha perfettamente ragione. Da sempre si riscontrano complicità o quantomeno dei “lati oscuri” nei comportamenti di determinati soggetti istituzionali.

Si riferisce a qualcuno in particolare?

Non mi riferisco a particolari personalità, ma a una visione storica che parte dagli anni in cui queste trattative tra Stato e poteri criminali avvenivano. Fino al 1982-83, inoltre, lo Stato italiano ignorava l’esistenza stessa del fenomeno mafioso.

 

Si spieghi meglio.

Solo con la legge Rognoni-La Torre (che introduceva il reato di associazione mafiosa, ndr) queste elemento criminogeno venne contemplato dal codice penale. La stessa Cosa Nostra era considerata un fenomeno antropologico, certamente significativo, ma non penalmente perseguibile. Ben vengano quindi tutte le indagini possibili che possano aiutarci a capire non solo le vicende collegate ai nostri giorni, ma anche quelle passate.

 

Il processo prenderà il via il 27 maggio. Cosa si aspetta?

Ovviamente mi aspetto che si possa fare chiarezza e che possano emergere ulteriori elementi di novità ancora sconosciuti all’opinione pubblica. Sono tante le persone che, pur sapendo molto a riguardo, continuano a non parlare. Ed è per questo che le indagini risulteranno sempre più significative.

 

(Claudio Perlini)