Piove. Ma Cristo è risorto. Non abbiamo un governo. Ma Cristo è risorto. Non ci sono agnelli nè uova pasquali su molte tavole. Ma Cristo è risorto. Una donna lotta con un tumore che le sta divorando l’anima oltre che il seno. Ma Cristo è risorto. Abbiamo perduto l’amore della vita. Ma Cristo è risorto. Siamo stritolati dal lavoro che non vorremmo. Ma Cristo è risorto. Si è fulminata la lampadina. Ma Cristo è risorto. (E ha mandato l’elettricista direbbe Andrej Sinjavskij nei suoi Pensieri improvvisi). E’ Pasqua. Il tempo dell’amore colorato. E Cristo è risorto. E ad annunciarlo, dalla loggia delle benedizioni della Basilica Vaticana, c’era un nuovo Papa, Francesco.
Era il suo primo messaggio Urbi et Orbi, il primo discorso a tutto il mondo dopo tre giorni di riti, liturgie, gesti dentro il Mistero della Passione di Cristo e ha esordito con la notizia più bella dell’universo. Cristo è risorto. Ha vinto l’amore, ha vinto la misericordia. E noi, che come le donne al sepolcro, siamo ancora un po’ intontiti dalle lacrime, agghiacciati dal silenzio semieterno del sabato, già feriti dalle ore di distacco, abbiamo accusato la scrollata, abbiamo spalancato gli occhi e la bocca, senza fiato, per assaggiare ingordi la speranza gustosa.
Perché il pontefice venuto dalla fine della terra ci ha detto che Dio è più forte del male e della morte, che il suo amore fa fiorire “le zone di deserto che sono nel nostro cuore”. Non so voi. Ma oggi io sono più contenta. Anche se piove, anche se non abbiamo un governo, anche se non ho mangiato né agnello né cioccolato, (perché il primo non mi piace e il secondo mi piace anche troppo) anche se la mia amica ha un cancro e ho perso l’amore della mia vita, anche se lavoro e vorrei essere in Brasile e la lampadina è fulminata da un mese, e trovare un elettricista libero è come vincere alla lotteria. E questo solo perché con la Pasqua è arrivata la certezza che Dio trasforma la nostra vita. Perché uno che manda suo figlio ad umiliarsi per me deve volermi un bene da pazzi. E il bello è che vuole bene pure a mia mamma, ai miei nipoti, alle mie cugine, ai miei amici, al mio giornalaio, alla cassiera del supermercato, al bigliettaio del treno, al collega che non sopporto e vorrei strozzare, ai tanti a mio giudizio inutili e dannosi sulla faccia della terra. A quelli che comunque per lui sono preziosi e unici.
“Un Dio che è vita” – ha detto il Papa – “solo vita”. E pensate che la sua Gloria sono io. Siamo noi. Sono la cassiera e il giornalaio. E questo Francesco lo fa capire bene. Quando non stacca la faccia dal ragazzo spastico in piazza San Pietro, baciandolo infinitamente come un amante a lungo separato dall’amata. Perché chiude gli occhi, quando lo accarezza, assaporando il suo volto e la sua Croce, come padre Luc nel bellissimo film Uomini di Dio di Xavier Beauvois: quando il monaco trappista, medico a Tiberine, bacia nella propria cella, il corpo flagellato del Cristo caravaggesco, sapendo che di lì a poco andrà incontro al suo destino, morire sgozzato dai fondamentalisti islamici nell’Algeria dilaniata dalla guerra civile. Francesco sa cosa vuol dire amare. Amare Cristo. E sa anche cosa vuol dire che Cristo ci ama. Lo ha spiegato così bene dall’alto della loggia, guardando quella marea di teste che raggiungevano il Tevere.
Cristo è andato fino in fondo, fino agli inferi, “all’abisso della separazione da Dio”. L’amore di Dio, l’amore misericordioso ha “inondato di luce il corpo morto” del figlio, “lo ha trasfigurato, lo ha fatto passare nella vita eterna”.
Quando ho sentito il Papa ripetere la drammatica sequenza che è la struttura della nostra fede ho pensato ad un quadro di William Congdon che mi è caro e che un amico mi ha riproposto alla contemplazione giusto ieri. E’ una delle celebri crocifissioni dell’artista americano e toglie il fiato: con il corpo martoriato di Cristo che precipita nell’abisso, il capo abbandonato e tutto il divino che penetra la morte. Niente di più doloroso e consolante, il fondo fangoso illuminato dal corpo già bianco di Resurrezione. L’essenza di ciò che è accaduto ancora una volta per noi, negli ultimi tre giorni.
Per noi e per il mondo, come ha ricordato Papa Bergoglio, invocando la pace per ogni angolo del pianeta. E allora dobbiamo solo rendere grazie, insieme a lui e al salmista: “Rendete grazie al Signore perché è buono, /perché il suo amore è per sempre./Dica Israele:/ Il suo amore è per sempre”.