“Mi assumo la responsabilità dell’omicidio, merito l’odio di mia figlia” ha detto Carlo Cosco, l’ex compagno di Lea Garofalo, collaboratrice di giustizia, rapita e bruciata ormai quasi cinque anni fa.
“Io adoro mia figlia, merito il suo odio perché ho ucciso sua madre. Guai a chi sfiora mia figlia, prego di ottenere un giorno il suo perdono”.
Queste parole scabre pronunciate con dura chiarezza hanno scosso i giudici che processano per l’ennesima volta il pluriomicida Cosco, capo della ’ndrangheta e mandante anche dell’omicidio del fratello di Lea. Quest’ultimo, anche lui appartenente alla malavita, aveva aperto la sua cerchia di potere proprio al cognato che vanta ormai numerosi ergastoli.
Lea insomma era legata da ogni parte al mondo della ’ndrangheta: ce l’aveva nel sangue, nel cuore. C’è voluta quasi una mutazione genetica per farla convertire, per farla collaborare, per farla scappare.
La sua mutazione in realtà ha un nome ben preciso: Denise, figlia che oggi ha ventun anni.
Ed è viva.
Non si può dire esattamente “sana e salva”, però.
Perché lì, presente e attenta, perché è stata lei a convincere il suo fidanzato complice del padre a denunciarlo, a raccontare del vero mandante.
“Voglio la verità “ lei dice, “solo la verità”. Pare sia questo che chieda a gran voce al padre che lei stessa ha messo sul banco degli accusati.
Si resta attoniti in tale intricata vicenda, perplessi.
Lo sguardo va da lei a lui, come se fosse una partita, come se ci fosse una rete da sollevare, come se ogni colpo affondasse sempre più addentro il terreno del nostro ragionamento, fino a perdersi, confondersi.
Una vicenda di tenebra, ci verrebbe da dire.
Ma quelle parole sono così lucide, scandite, risuonate a ora di cena nelle case di tutta Italia attraverso la radio:
“merito il suo odio”
“darei la vita per lei”
“prego per ottenere il suo perdono”
È la stessa voce che ordinò: “ammazzala”.
Verrebbe da dire: è un mostro, o forse anche, è schizofrenico, sdoppiato, è pazzo. Guarda come ti riduce il crimine.
Ma è troppo semplice, l’ago della coscienza continua a sfruculiare dentro. Il suo sguardo rimane quello di un padre.
Chi è? Davvero, chi è quell’uomo? Con le mani ancora lorde di sangue chiede perdono: non a noi, alla società, ma davanti al muso di una ragazza che fa le mostre di odiarlo.
Cos’è il cuore dell’uomo?
Come fa a starci dentro tutto questo? Odio e amore insieme, dignità e bestialità, vendetta e preghiera.
Chi è l’uomo perché te ne curi?
Davvero, ci vuole un Dio che si occupi di questo.
Tutta la nostra ragione, la coscienza e pure ogni costruzione psicanalitica barcolla di fronte al suono delle parole di questo Carlo Cosco, di questo nome e cognome e viso. Fermo. Asciutto.
Dice cose da far piangere e le dice a testa alta. Ci fa vergognare e rivendica per sé la dignità di chi ha agito secondo le regole, mafiose certo, dolorose, ma secondo le regole.
Ecco, forse ci sto arrivando; è la confessione di Otello che ha ucciso Desdemona, è quella di Medea, è quella che ha condannato Antigone, è quella di… Giuda.
Tutte quelle decisioni mitiche che portano a sacrificare la vita di un uomo per… un altro uomo? No.
Per una passione. Per una Legge. Per un Ideale.
Per un qualcosa. Un Qualcosa, non Qualcuno.
Ma niente vale di più dell’uomo.
Ce lo ha insegnato il Figlio dell’Uomo.
Così come solo a un uomo si può chiedere perdono. Non a una ’ndrangheta. Lei non può perdonare.
E una figlia? Domanda difficile.
Sono o non sono davvero odiosi quei microfoni sbattuti sotto al naso a chi è stato appena ammazzato un familiare, un amato, che insistono: perdoni? perdonerai? sei buono o sei cattivo? sei stupido o vendicativo?
Sono figlio di Dio.
Guardato dalla Sua misericordia.
Sono l’assassino salvato in su la croce.
Sono l’assassino che Lo ha guardato dalla croce e Lo ha deriso.
Sono quello che merita di essere odiato.
Sono quello che ha tutte le ragioni per odiare.
Non prendiamoci in giro: ogni cuore piazzato in petto a un uomo è uguale. In ogni cuore, anche nel nostro, proprio lì, che sia grande o piccolissimo, c’è tutto quello che abbiamo nominato, è quello l’ago che ci punge tanto, per fortuna.
Che l’ago ci lavori.
Che si faccia crepa.
Che crepi l’uovo del nostro cuore perfetto.
Che ci raggiunga il perdono: non viene da noi.
Viene, per dono, per grazia. Per Dio.