Desta perplessità vedere lo Stato Italiano impugnare la sentenza della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo che, l’8 gennaio scorso, ha vergognosamente condannato l’Italia per trattamento inumano e degradante di sette detenuti. La decisione, attraverso cui l’Italia sta chiaramente prendendo tempo per mettersi in regola, è solo apparentemente giustificabile dal punto di vista puramente “tecnico”, ma non dimentichiamo che ci troviamo di fronte a una situazione che si protrae ormai da qualche decennio.



In alcune parti dello Stato italiano sembra quasi mancare una reale volontà, innanzitutto politica, ma non solo, di rientrare in fretta nei parametri della legalità. Ancora troppo spesso, purtroppo, il modo in cui sono trattate le persone che hanno sbagliato in maniera grave e violenta, non è affidato al pieno rispetto delle leggi, ma a una certa discrezionalità politica che si muove esclusivamente in funzione dell’umore dell’opinione pubblica, spesso creata ad arte. In altri termini questo problema va riportato nel giusto alveo del dovere dello Stato e va sottratto all’ambito improprio in cui è stato relegato. 



Non vorrei, allora, che questo “tecnicismo” dimostrato nel voler prendere tempo non porti a un nulla di fatto, come spesso accade in Italia, una volta scaduto il termine. La mia speranza è che la decisione italiana trovi le proprie motivazioni su una reale intenzione di cambiamento, su una concreta voglia di accelerare i tempi per riportare il sistema carcere nella legalità e per dimostrare finalmente che lo Stato italiano intende porre la propria attenzione sul recupero del detenuto. E’ una questione quanto mai delicata che parla di dignità e di identità di un Paese, di un popolo e di una comunità sociale, ed è per questo che spero vivamente che si possa arrivare a risultati concreti e alle necessarie modifiche che da tempo attendiamo.



Auspico, assieme alle altre misure necessarie, che quanto accaduto quest’anno in merito al rifinanziamento della Legge Smuraglia e all’ampliamento delle agevolazioni per far ritornare il lavoro come elemento fondamentale  della rieducazione e del recupero dei detenuti in tutte le carceri italiane, possa oltrechè ripartire velocemente, diventare uno strumento stabile nel tempo in grado di attirare quante più imprese possibile. Non bisogna mai dimenticare che, per ogni milione di euro investito nella rieducazione e nel reinserimento all’interno della società del detenuto, se ne possono risparmiare ben 9: quindi, oltre all’imprescindibile obiettivo di rientro nei termini della legalità del sistema carcere, è realmente possibile generare un conseguente beneficio economico e di sicurezza sociale. Al contrario, ogni giorno di ritardo su questi appuntamenti improrogabili rappresenta un danno estremamente grave sotto ogni punto di vista per i cittadini italiani. Una Severino bis sarebbe sicuramente una certezza in più.

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