Quando s’è svegliata, dopo il cesareo, Ivana s’è toccata il ventre. La sua bambina. Dov’era la sua bambina? Capita spesso che le neo mamme dopo l’intervento, per qualche attimo, si sentano perdute, ignare dell’esito del parto, spaventate dal non sentirsi più dentro quell’essere che hanno custodito e amato e ascoltato e sognato così a lungo. Non così a lungo, per Ivana, che ha partorito alla 32esima settimana. Ma anche questo capita, oggi nascono bambini anche prima, la pre maturità non è più una preoccupazione così grande, se non è troppo anticipata. 



32 settimane, solo un chilo e mezzo, ma Rebecca ce la può fare benissimo, e infatti ce la fa, è pronta per essere tolta dall’incubatrice e con tutti i tubicini che le controllano la giovane vita, farsi deporre amorevolmente su quel ventre che l’ha custodita e nutrita, per sentirne il calore, il battito, e rigenerarsi, skin to skin, si chiama, il marsupio. Solo che Ivana ha avuto un’anestesia lunghissima, perché Rebecca è nata a marzo, e lei si è svegliata ieri. Anzi, la sua anestesia è cominciata ben prima del parto. Si chiama coma, ovvero interruzione della vita, dicono tanti, fine certa, oppure, una vita danneggiata irrevocabilmente. Dicono. 



Ivana ha avuto un’emorragia cerebrale. Si è addormentata, e come per la protagonista della celebre fiaba, tutto s’è fermato con lei e attorno a lei. Quando s’è svegliata, il tempo era fermo, la sua bimba era in un ventre gonfio, non troppo però, e adesso, quel letto, e niente Rebecca…Ivana s’è appena svegliata, e non sa che dorme da mesi. Non sa quanti baci ha ricevuto da suo marito, anche se non è un principe, quante suppliche, quante preghiere di cari e altri cari e così via, in una catena di tenerezza e speranza  tenace, da forzare il cielo. Ivana s’è svegliata, e non sa che i medici scuotevano il capo, e già pareva loro eccezionale aver salvato la bambina, aver sottratto lei a quella morte apparente, a quel sonno così innaturale, per una vita di 33 anni. Non si sveglierà, i parametri sono terribili, si sussurravano dottori e dottoresse e infermiere. Oppure, se si sveglierà… chissà se riconoscerà mai sua figlia. Se potrà vederla, parlarle, prenderla in braccio. Chissà. 



Così, la piccola Rebecca è restata nel nido, coccolata come fosse la bimba di tutti, e Ivana è stata portata in un altro ospedale della sua città, Catania, e il papà a fare la spola, un ditino sulla testolina della figlia, e poi dall’altra parte, una carezza alla sposa.

Finché è successo. Quello che a tutti pare un miracolo, e ai medici, prudentemente, un gran colpo di fortuna, Ivana si è svegliata, non solo: parla, si muove, e si è toccata la pancia, ha chiesto della sua bimba. Rebecca l’avevano pensato insieme, lei la conosceva già con quel nome. Rebecca, e ci hanno anche aggiunto Maria, che almeno una mamma lassù l’avesse di sicuro. Tra lo stupore dei medici ha chiesto di essere portata da lei, di averla addosso, di  sentire il suo tremore a contatto con la sua pelle. Quante lacrime il papà. Che il miracolo l’aveva chiesto tante volte, e lo aspettava, con forza, come si fa quando si chiede una cosa buona e giusta, con insistenza, sgridando chi di dovere perché tardava tanto. Due miracoli, aveva chiesto il papà. E due miracoli ha avuto. Per questo, d’accordo con Ivana, appena potranno voleranno tutti e tre in un paesino della Bosnia Erzegovina, dove la Madonna si fa vedere spesso, dicono, e così potranno dirle grazie di persona.