Un impiegato americano scrive le sue dimensioni su una torta. E finisce con “se vi è piaciuta venite a comprarla da me”. Sequestro vino sofisticato per 10 milioni di euro tra Novara e Vigevano. Viviana Varese potrebbe essere la cuoca del prossimo Eataly a Milano. Sono tre notizie via Twitter di un soleggiato pomeriggio italiano, aspettando il prossimo appuntamento. Come è cambiata la vita: una volta si attendeva il postino per sperare in qualche buona notizia. Oggi si ha quasi paura ad aprire la sporta perché le notizie riguardano solo tasse e pagamenti. E nessuno scrive più lettere. I messaggi arrivano invece via internet oppure con gli sms o con un tweet. Il mondo cambia e dunque non dovrebbe cambiare la nostra offerta in cucina?
È un tasto dolente, ma questa settimana ha fatto discutere, ad esempio, l’uscita di scena di un famoso cuoco di Alghero, che ha deciso di migrare all’estero. Il motivo? La tradizione ha vinto sulla cucina creativa e, benché abbia ottenuto la stella Michelin, il suo ristorante rischia. Migrano i nostri cervelli, dunque, e migrano anche le cucine, abbracciate all’estero in nome del mito del gusto italiano di cui ancora non vogliamo renderci conto.
Pochi anni fa a Torino, due ristoranti con la stella Michelin vi hanno rinunciato dopo un anno, memori della fine che avevano fatto certe glorie come La Vecchia Lanterna, i Due Lampioni e Balbo. Hanno rinunciato o hanno chiuso semplicemente perché i torinesi non ci vanno e la gente da fuori si sposta di meno. Anche il nuovo turismo che sta interessando Torino non è detto che sia elitario, benché apprezzi un giro alla Reggia di Venaria. Dunque la riflessione che emerge è questa: fino a quando le nostre migliori forze della ristorazione patria inseguiranno il modello della guida Michelin? Che non è esattamente il modello della cucina tradizionale italiana, per intenderci, e che rischia di posizionare troppi locali verso l’alto (in termini di prezzi) della piramide.
Eppure nel gergo corrente il ristorante “stellato” è diventato un genere, ricercato per fare cooking show in ogni dove, ma anche trasmissioni televisive, fino a diventare fenomeni candidabili, e perché no?, alla presidenza della Repubblica. Ma al netto di questa cucina spettacolo cosa rimane in termini di attrattiva reale, di impresa dei nostri migliori ristoranti? Qual è il loro futuro insomma.
Forse bisognerebbe riandare a leggere i maestri, come il contemporaneo Gualtiero Marchesi che una decina di anni fa, senza esitazione, ha chiesto d’essere radiato dalla guida Michelin. Era un capriccio? O forse un’aurea provocazione che oggi torna d’attualità?