Hanno calcolato che la distanza tra il palazzo di Riviera di Chiaia crollato il 4 marzo scorso e il villaggio dove si è insediato il jet set internazionale arrivato per l’America’s cup sia di circa 120 metri. Se il crollo del palazzo ha lasciato 400 persone senza casa, le barche fantascientifiche della regata dovrebbero far da contrappeso tenendo alta l’immagine di Napoli nel mondo. Questo, almeno, secondo il ragionamento di Luigi De Magistris, il sindaco sceriffo di una città che giorno per giorno si riconosce sempre meno in lui.



Il mare di Napoli è sempre stupendo e le vele dell’America’s cup che lo solcano garantiscono sicuramente un grande spettacolo. Il problema quindi non è quello di condannare un po’ moralisticamente questa decisione, per quanto alla fine finirà con il costare alle casse pubbliche circa 10milioni di euro. Il problema è semmai la distanza che si è aperta tra la rappresentazione spettacolare di Napoli e la realtà di Napoli. Una distanza che è inversamente proporzionale a quei soli 120 metri di cui si è detto. E che si misura più concretamente in un altro numero: quei 4 milioni di euro investiti per il villaggio dell’America’s cup, soldi che sarebbero stati ben necessari ai 400 sfollati di Riviera di Chiaia…



È la filosofia sciagurata degli “eventi” che l’amministrazione di Napoli, ripetendo la formula come un mantra, dice essere “volano di una nuova immagine della nostra città nel mondo”. La realtà delle cose è un’altra: un sindaco che si sta dimostrando impotente di fronte ai problemi di Napoli, che ha illuso di voler dialogare con la città e che invece vive asserragliato nelle sue stanze, copre quest’impotenza con la retorica dell’Evento. Intanto Napoli vive continue sconfitte quotidiane che non aveva mai sperimentato, il caos del trasporto pubblico, le buche nelle strade, la precarietà del proprio patrimonio edilizio, il rogo della Città della Scienza, la scoperta dell’impraticabilità dei terreni ex Italsider, la violazione di una delle più importanti biblioteche storiche d’Italia, quella dei Girolamini.



«La città è abbandonata a se stessa. Prigioniera», ha detto uno dei personaggi più autorevoli nella Napoli di oggi, Mirella Barracco. «Autobus che mancano, scioperi selvaggi, buche per strada, palazzi che crollano. E un sindaco che dichiara di volere la “partecipazione” ma è chiuso nelle sue stanze. Una infelice vecchietta ieri a una fermata di un autobus mi ha detto che Napoli le è diventata nemica. Trovo che abbia ragione». 

Gli fa eco Tomaso Montanari, docente a Napoli, storico dell’arte, autore della denuncia che ha portato allo scoperto il clamoroso e drammatico saccheggio della biblioteca dei Girolamini. «Si pensava che con la giunta “arancione” di De Magistris le cose sarebbero cambiate. Invece ora è anche peggio: i Grandi Eventi sono la nuova religione, panem et circenses, per un popolo ridotto a plebe. E intanto il corpo di Napoli si sta disfacendo».

Non c’è solo Napoli e non c’è solo De Magistris. La logica del Grande Evento è come un virus che ha contagiato tantissime amministrazioni pubbliche, in cerca di un’ancora di salvataggio per scantonare dai problemi che non si è più capaci di gestire. Si sollevano grandi fumi mediatici, si fanno contenti un po’ di amici, ci si trastulla con numeri che nessuno va poi mai a verificare. Intanto la città reale arranca sempre di più. E guarda all’Evento di turno come a un qualcosa di lunare e di irreale, anche se si svolge ad appena 120 metri di distanza. Mentre la città diventa giorno per giorno sempre più nemica.