Il giallo legato al sequestro di Emanuela Orlandi potrebbe finalmente essere a una svolta definitiva. Un superteste, ascoltato in queste ore dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e dal pm Simona Maisto, ha raccontato di essere stato uno dei principali telefonisti del rapimento, organizzato a suo dire “dal nucleo di intelligence di cui facevo parte per esercitare pressioni sulla Santa Sede”. Inoltre, proprio il giorno in cui la figlia del messo pontificio di Giovanni Paolo II sparì, l’uomo era appostato per “scattare fotografie” all’automobile “su cui c’era De Pedis”, e nelle settimane successive avrebbe visto “moltissime volte Emanuela, che restò a Roma fino al dicembre del 1983”. Una testimonianza che potrebbe rivelarsi decisiva, anche se i magistrati preferiscono per il momento mantenersi cauti. Una domanda sorge infatti spontanea: perché parlare solo ora, 30 anni dopo il sequestro della giovane? Il superteste, inoltre, è anche colui che all’inizio di questo mese, attraverso una segnalazione arrivata alla trasmissione “Chi l’ha visto?”, aveva fatto ritrovare il flauto traverso che Emanuela Orlandi ripose nel proprio zaino prima di uscire di casa il 22 giugno 1983, l’ultima volta che i familiari la videro. La Procura ha acquisito l’oggetto e ha disposto una consulenza tecnica con l’obiettivo di rilevare eventuali impronte o tracce di dna.



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