Il 28 aprile 2013, 118º giorno dell’anno secondo il Calendario Gregoriano, la Chiesa Cattolica celebra il ricordo di due importantissimi martiri dell’epoca della tarda antichità: San Vitale e Santa Valeria. Vitale e Valeria vissero nell’Italia del III secolo, in quell’epoca di turbolenze della storia romana che gli storici hanno definito come il periodo dell’Anarchia Militare. In quest’epoca, compresa tra la morte dell’imperatore Massimino il Trace e l’inizio del principato di Diocleziano, i vertici del governo romano cambiarono varie volte, in forma repentina. Alla fine del periodo, che si estese dal 238 al 284, l’Impero Romano venne salvato dal dalmata Diocleziano, che instaurò la Tetrarchia. Il periodo dell’Anarchia Militare fu durissimo per tutta la popolazione dell’Impero, sottoposta a soprusi di ogni tipo, e in particolare per i Cristiani, che venivano spesso trattati come capri espiatori e massacrati dalla folla pagana. In questo periodo difficile si colloca la straordinaria vicenda di San Vitale e Santa Valeria.



Le prime notizie sui due martiri ci vengono trasmesse da un opuscolo redatto verso la fine del IV secolo da Filippo, in cui si racconta la vita e il martirio dei due fratelli Gervasio e Protasio, figli di Vitale e Valeria. Filippo cita nel suo opuscolo i genitori dei due santi, fornendo un prezioso documento sulla vita dei quattro testimoni della fede. San Vitale era un soldato imperiale che, agli ordini del generale Paolino, era stato trasferito da Milano a Ravenna per aiutare i comandanti locali a perseguitare i Cristiani. A Ravenna, Vitale assistette alla cattura e alla condanna a morte di San Ursicino. Questi era un medico di origine ligure che operava a Ravenna. Nonostante le pressioni e le torture, San Ursicino rifiutò di abiurare la sua fede e venne per questo condannato a morte. Durante il cammino dal carcere al luogo del supplizio, San Ursicino venne colto dalla disperazione e cadde in preda a un terrore cieco: San Vitale, che si trovava accanto a lui e sino ad allora aveva occultato la sua fede cristiana, lo consolò, facendogli forza e ricordandogli che presto avrebbe raggiunto Cristo nei cieli. San Ursicino venne decapitato e ricevette una degna sepoltura da parte di Vitale.



Il comandante di Vitale, Paolino, chiamò il suo sottoposto a chiarire la sua posizione, in quanto aveva manifestato apertamente i suoi sentimenti cristiani per consolare Ursicino. A causa del netto rifiuto di abiurare la sua fede, San Vitale venne incarcerato, minacciato di morte e torturato. Visto che Vitale non cedeva, Paolino ordinò di far scavare una profonda buca e di far entrare il coraggioso soldato cristiano. Dopo l’ennesimo rifiuto da parte di San Vitale di un’ultima offerta di salvezza in cambio dell’abiura del Cristianesimo, Paolino diede ordine di seppellirlo vivo con terra, pietre e altri detriti. San Vitale venne così martirizzato. Il luogo del martirio divenne in breve molto frequentato dai fedeli della comunità locale, che iniziarono a ricevere grazie.



Santa Valeria, la sua sposa, era anch’ella cristiana. Rimasta a Milano con i due figli piccoli in attesa del ritorno dell’amato marito, venne raggiunta dalla notizia della tragica morte del compagno. Giunta a Ravenna per riprendersi la salma del suo sposo, Santa Valeria si vide negare il permesso di potersi prendere i resti di San Vitale dai cristiani della città romagnola, in quanto la preziosa reliquia del martire aveva iniziato a causare guarigioni miracolose e altri fenomeni. Santa Valeria, tornando a Milano seguendo la Via Emilia, venne assalita durante il cammino da una delle tante bande di ladroni pagani che infestavano la Pianura Padana, ormai abbandonata a se stessa a causa della guerra civile che imperversava fra i diversi generali dell’esercito imperiale.

Santa Valeria venne derubata di tutto ciò che possedeva. In cambio della sua vita, i banditi le ingiunsero di offrire un sacrificio al dio dei boschi Silvano. Santa Valeria rifiutò di compiere un rito pagano e per questo venne percossa dai ladroni, che la lasciarono in fin di vita. Valeria riuscì comunque a raggiungere Milano, ma, a causa delle ferite, spirò dopo pochi giorni. I figli Gervasio e Protasio, impressionati dalla morte eroica dei genitori, vendettero tutti i loro averi, diedero il ricavato ai poveri e iniziarono la vita cristiana che li portò a essere martirizzati dopo pochi anni.