E così, anche la famosa valigetta di pelle marrone del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa è vuota: ritrovata nel bunker dei corpi di reato del Palazzo di Giustizia di Palermo qualche giorno fa dagli inquirenti, nella borsa del prefetto assassinato il 3 settembre 1982 non c’era niente di niente. Eppure, stando al verbale del sopralluogo della squadra mobile intervenuta subito dopo l’omicidio in cui persero la vita anche la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente Domenico Russo, nella valigetta e nella macchina dovevano esserci diversi documenti, mentre in quello di trasferimento dei reperti dalla polizia alla Procura della Repubblica di queste carte non si fa alcun cenno. In breve: non poteva che trattarsi di documenti interessanti. Ne parliamo con il giudice Rosario Priore, che ha indagato su numerosi casi, a partire dalla strage di Ustica, Brigate Rosse e mafia.



Giudice Priore, anche la valigetta di pelle marrone del generale Dalla Chiesa è vuota: che idea si è fatto?
È molto strano. Di norma gli archivi dei palazzi di giustizia sono sempre pieni di carte, e non è difficile che alcune vadano perse. Ma non è raro che siano fatte sparire ad arte. A me, ad esempio, è capitato nelle indagini relative alla strage di Piazza Fontana: dopo il blitz nel covo di Robbiano di Mediglia, in Piemonte, vennero ritrovati tantissimi documenti che, ne sono certo, avrebbero dato una svolta alle indagini o, almeno, ci avrebbero permesso di saperne di più sulle Brigate Rosse. Dico “avrebbero” perché molti sono andati persi, e non certo per caso. Non escludo, dunque, che anche nel caso della borsa di Dalla Chiesa possa essere andata così, anche se ne sappiamo ancora poco, e le indagini sono ancora in corso.



Che tipo di documenti poteva contenere quella valigetta?
A mio avviso, poteva trattarsi di carte non ufficiali ma riservate. I documenti ufficiali, infatti, sono rintracciabili negli archivi e nei luoghi pubblici, visto che si copiano proprio per ragioni di sicurezza. Probabilmente carte con nomi, o informazioni, o appunti. Questioni delicate quindi.

Chi erano i nemici di Dalla Chiesa? Quali segreti ha portato con sé?
Il generale aveva indagato sulla criminalità nelle varie forme: dalla Brigate Rosse al caso Peci, dal superclan ai rifugiati all’estero, passando per la mafia e la criminalità organizzata. Aveva, dunque, tanti nemici.



Per l’ennesima volta, si viene a scoprire un particolare importante – in questo caso il ritrovamento della valigetta – da una fonte anonima: i pm palermitani, infatti, sono stati “avvisati” da un’informativa ricevuta lo scorso mese di settembre. Cosa le suggerisce questo particolare?

Non escludo si tratti di messaggi tra fazioni mafiose, che riveli quindi che è ancora in corso una battaglia interna alla mafia. La storia della criminalità è piena di corvi che si mandano messaggi in modo anonimo. Non è da escludere, quindi, che il ritrovamento dopo trentun anni di questa borsa, e per di più vuota, abbia un messaggio ancora da decifrare.

Giudice, a che punto è la lotta alla mafia?
Molto è stato fatto, ma molto ancora c’è da fare. Vede, io fui richiamato molti anni fa dal giudice Caponnetto perché avevo ipotizzato che la criminalità sarebbe stata sconfitta non prima del 2000, mentre lui molto più ottimisticamente sperava che gli anni Novanta sarebbero stati quelli decisivi. Penso che non si possa cantar vittoria prima di almeno dieci anni.

La sento piuttosto sconfortata.
Diciamo che sono realista. La mafia, e in modo particolare la ndrangheta, oggi è molto più raffinata di un tempo, sa infiltrarsi bene, grazie ai tanti colletti bianchi… Lo dimostra il suo radicamento fortissimo in regioni un tempo immuni: penso alla Campania, si pensi a Scampia, alla regioni del nord. E lo dimostra la sua presenza costante in zone come la Sicilia occidentale, o la Calabria, dove è ancora molto forte. La guerra è ancora in corso, ed è purtroppo ancora lunga.

(Piergiorgio Greco)