Ci risiamo. Parrebbe che l’urgenza di questo paese e dei suoi uomini e donne, dunque dei loro rappresentanti in politica e nella magistratura dovessero concentrarsi su una crisi mai vista in questo secolo, sull’emergenza del lavoro e delle nuove povertà. Invece quanti sforzi per ribaltare leggi e sentenze che riguardano i campi dell’etica e della bioetica, come se le piazze si riempissero di un’indignazione irrefrenabile per il divieto dei matrimoni omosessuali o della fecondazione eterologa.
Il ci risiamo riguarda proprio questo aspetto divisivo della famigerata legge 40. O benedetta legge 40, concepita con un concerto trasversale di competenze e intelligenze politiche e professionali, al fine di porre un argine agli abusi, riconoscendo che l’essere umano è una persona fin dai suoi inizi, cioè dal concepimento. E come persona, parrebbe ovvio, ha diritto alla vita e alla nascita in una famiglia con un papà e una mamma certi. Non è così ovvio. Perché il Tribunale civile di Milano ha provato di dare l’ennesima spallata non solo alla legge, ma all’antropologia che le sottende, ricorrendo alla Suprema Corte perché tale norma sarebbe incostituzionale, di più, lederebbe la possibilità di ogni coppia di avere una libera vita familiare.
Te la spiegano così, spronati dai ricorsi di coppie particolarmente agguerrite che, forti di altre legislazioni in Europa, e rifiutandosi, in questo giustamente, di ricorrere a operazioni dubbie in altri paesi, pagate oltretutto a gran prezzo, chiedono di poter adire alla fecondazione eterologa anche in Italia. Storia vecchia, perché è dalle sue origini che alla legge 40 arrivano bordate di natura prettamente ideologica. Te la spiegano così: diamo una possibilità alle coppie portatrici di una patologia grave, che solo col seme di un donatore possono ovviare alla sterilità. I cattolici sono riusciti nel referendum del 2007 con una campagna intimidatoria e mendace a non far raggiungere il quorum, e a relegare il nostro paese agli ultimi posti nella classifica dei paesi civili.
A parte che non si vede perché correr dietro al diritto della scienza di manipolare la vita dell’uomo sia segno di progresso e civiltà, è la solita storia: i cittadini sono liberi pensatori solo ed esclusivamente se non sono cattolici, e non ritengono che la loro fede abbia qualcosa da dire alla vita. Ma la questione è mal posta comunque, perché non riguarda affatto i cattolici o i fedeli di qualsivoglia religione. Dipende dalla concezione dell’uomo. La legge deve sancire il diritto all’autodeterminazione della coppia: ma la coppia è composta da due persone, manca un terzo elemento, che non viene preso in considerazione, il figlio. Non parla, non può scegliere se per lui sia la stessa cosa nascere con tre padri, o tre madri, di cui uno o due sconosciuti.
La legge deve sancire che avere un figlio è un diritto? Perché la legge non garantisce allora che avere un figlio sano è un diritto? O che è un diritto non averlo più, quando non se ne abbia più voglia, o si ritenga che la sua vita non ha più un valore? La legge deve sancire l’uguaglianza tra le coppie. Dei diritti, appunto. Voglio il diritto di essere felice, di avere un marito che mi ama tutta la vita, e che la cattiva sorte non ci separi. Per legge?
Un figlio non è una casa, o un’automobile, o un posto di lavoro. Usate le parole che vi pare, resta sempre e comunque un dono, una sorpresa. Non a tutti è dato. E l’uguaglianza tra le persone non c’entra, perché non a tutti è garantita la salute piena fino a cento anni. Si può far di tutto per mantenerla, per prevenire le malattie. E si può e deve fare di più perché tutti gli uomini e le donne siano aiutati a prevenire e curare la sterilità. Se non è possibile, si possono educare le persone a cercare altre forme di maternità e paternità.
Inutile ricordare che di bambini bisognosi di una famiglia ce ne sono parecchi. Ma questi non sono “nostri” abbastanza; e qui si svela l’idea di fondo, parificare nei fatti un bambino a un oggetto da possedere. Oppure, non sono come li vogliamo davvero, e qui si scivola facilmente, pur negandone con orrore le abiezioni, nell’eugenetica. E’ nei fatti. In tutti i paesi dove la fecondazione eterologa è libera, ci si può scegliere spermatozoi e ovuli a piacimento, con cataloghi esaustivi sulle qualità fisiche e mentali dei donatori. Basta un giro su google per scovare decine e decine di siti, con tanto di foto, schede illustrative dettagliate. E in tutti i paesi dove la fecondazione eterologa è libera, è libera altrettanto la diagnosi prenatale, per scartare eventualmente gli embrioni in soprannumero o non sicuramente “sani” . Scegliete voi da che parte stare, che battaglia combattere, qualunque cosa decida la Corte, e temo che prima o poi ci porterà al passo coi paesi civili, appunto.
E’ nei fatti, il prender piede di una concezione di libertà che significa faccio quello voglio, e quello che voglio va garantito per legge. Guardo i miei figli, e non conosco il loro destino. So che per quanto li pensi e trepidi per loro ad ogni respiro, non sono affatto miei.
Sono felice di averli avuti da amare, da crescere, e so che potrei non averli domani, che mi farà soffrire vederli volare via. Non è un diritto averli sani, e neppure buoni, e neppure essere riamata da loro. Sono persone, uniche e irripetibili da quando ho saputo di custodirli dentro di me, dunque da prima. E’ una gioia grande.
Ad un’amica carissima è parsa gioia altrettanto grande scendere la scaletta dell’aereo che la portava in Brasile, ad accogliere un bambino dalle braccia di una suora di Madre Teresa, ed era un bimbo malato. Ad un’altra pare gioia grandissima educare due bambini a lei affidati per crescerli, il tempo che ne avranno bisogno. E’ una questione di sguardi, a loro e a se stessi, non di diritti.