Il tribunale di Milano ha inviato alla Consulta la questione di legittimità costituzionale contro il divieto alla fecondazione eterologa contenuto nella legge 40. Per i giudici questo aspetto della norma “condiziona la possibilità delle coppie eterosessuali sterili o infertili di poter concorrere liberamente alla realizzazione della propria vita familiare”. Ilsussidiario.net ha intervistato Cesare Mirabelli, professore di Diritto costituzionale alla Pontificia Università Lateranense di Roma.
Qual è il significato di questo rinvio alla Consulta?
Il tribunale di Milano invia per la seconda volta alla Consulta la questione di legittimità costituzionale. La volta precedente c’era stata da parte della Corte una restituzione degli atti, in quanto i giudici milanesi fondavano la questione di legittimità costituzionale su una decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo. Nel frattempo era intervenuta la decisione definitiva della Grande camera di Strasburgo. L’oggetto del giudizio era un divieto posto dalla legislazione austriaca per la fecondazione eterologa, e la Corte europea aveva ritenuto che rientrava nella discrezionalità del legislatore il compito di disciplinare questa materia. Il Tribunale di Milano ora rinvia nuovamente la questione di fronte alla Corte costituzionale.
Ritiene che il provvedimento del Tribunale di Milano sia fondato dal punto di vista giuridico?
Al di là di altri profili che possono essere rilevanti nelle prospettazioni fornite dal Tribunale, ritengo che ammettere o escludere l’eterologa tocchi una discrezionalità del legislatore, che non è irragionevolmente esercitata nel momento in cui si decide di vietarla.
Per quali motivi?
Il provvedimento del Tribunale di Milano fa riferimento al costume e alla sensibilità sociale, e questi sono elementi che spetta valutare al Parlamento, e non al giudice né alla Corte. Il problema di fondo inoltre è se esista un diritto a generare comunque, o se ci sia un diritto del nascituro da valutare o da bilanciare. Mi chiedo quindi da quale punto di vista possa essere contestata la scelta del Parlamento italiano di tenere in considerazione entrambi gli elementi e non invece uno soltanto.
Da quali esigenze nasce il ricorso dei giudici milanesi?
La violazione è enunciata soprattutto sotto il profilo della disparità di trattamento. Sotto questo aspetto non è però irragionevole la disciplina dettata dalla legge 40, in quanto la norma italiana distingue correttamente tra situazioni non omogenee tra loro.
Ci vuole spiegare meglio i precedenti di questo ricorso?
Lo stesso Tribunale di Milano aveva sollevato un’eccezione di legittimità costituzionale, il cui perno era una decisione della Corte europea secondo cui il divieto alla fecondazione eterologa contrastava con la Convenzione europea. Quella decisione era stata appellata alla Grande camera, la quale aveva modificato la decisione della Corte di Strasburgo e ritenuto che non ci fosse questo contrasto con la convenzione europea, perché la scelta austriaca rientrava nel margine di apprezzamento consentito ai singoli Stati.
E quindi?
La Corte costituzionale aveva restituito gli atti al Tribunale di Milano, in quanto era emersa una novità rispetto al momento in cui era stata sollevata la questione. L’invito della Consulta era stato a esaminare e valutare il significato della decisione della Grande camera di Strasburgo e ad applicarne l’indirizzo. Di fatto per la Corte europea non c’è violazione dei diritti fondamentali se non si ammette l’eterologa. Nonostante ciò il tribunale di Milano ha riproposto la questione alla Corte costituzionale.
Su quali basi lo fa?
Il tribunale di Milano si appella a vari elementi della giurisprudenza della Corte di Strasburgo, anche se non a quest’ultimo punto che ho citato, e si fa riferimento a vari passaggi della nostra Costituzione. Ma è un rilancio rispetto a una questione già precedentemente prospettata.
(Pietro Vernizzi)