Oggi, 6 aprile, si ricorda San Pietro da Verona. Fu un religioso fortemente impegnato nella lotta alle eresie pur provenendo da una famiglia che abbracciava la fede catara, definita dagli inquisitori manichea per il suo aspetto dualistico. Nacque a Verona agli inizi del XIII secolo e sin da piccolo si distaccò dalla fede della propria famiglia per abbracciare invece il credo cattolico. Studiò presso l’Università di Bologna per poi entrare a far parte dell’Ordine dei Frati Predicatori (meglio noto come Ordine Domenicano) quando il fondatore Domenico da Guzmàn era ancora in vita. Iniziò a questo punto una lunga vita di predicazione che lo vide viaggiare per tutta l’Italia settentrionale e centrale: Firenze, Perugia, Asti, ma il centro principale della sua attività predicativa e di lotta alle eresie fu soprattutto la Lombardia.



Papa Gregorio IX nel 1232 lo inviò infatti in Lombardia con il compito di reprimere il catarismo con le sue predicazioni. Entrato nel monastero di Sant’Eustorgio a Milano fondò un’associazione di militanti chiamata “Società della Fede” e su questo esempio istituì poi in molte altre città del nord Italia congreghe simili come la “La società di Santa Maria” o la “Venerabile Arciconfraternita della Misericordia di Firenze”. La lotta all’eresia catara era infatti una vera e propria emergenza religiosa del momento avendo attecchito pesantemente nel sud della Francia e nell’Italia settentrionale. La Chiesa allora prese i suoi provvedimenti perfezionando il tribunale dell’Inquisizione e nel 1251 papa Innocenzo IV nominò proprio Pietro da Verona inquisitore per Milano e Como. Iniziò a ottenere importanti risultati nella lotta all’eresia, ma la domenica delle Palme del 24 marzo 1252 in uno delle sue tante prediche sul pulpito esterno della chiesa di Sant’Eustorgio profetizzò quella che poco dopo sarebbe stata la sua morte: assassinato per volontà degli eretici.



Infatti, in quei giorni Giacomo della Clusa, Stefano Confaloniero, Manfredi Chrono e Guidotto Sachella, capi delle sette di Milano, Bergamo, Lodi e Pavia stavano tramando per far uccidere Pietro. Furono scelti come sicari Pietro da Balsamo detto Carino e Albertino Porro di Lentate. Il 6 aprile, mentre Pietro in compagnia di altri due confratelli si recava a piedi da Milano a Como, fecero una breve sosta nel bosco di Farga, nella zona di Seveso, per fare colazione. Fu qui che i due sicari misero in atto il loro agguato: Carino subito si avventò contro l’inquisitore pugnalandolo al petto, ma a quel punto Albertino non riuscì a far nulla e decise invece di scappare. Carino non demorse, terminando il lavoro conficcando un falcastro in testa a Pietro. Anche un altro confratello fu gravemente ferito nell’agguato e morì sei giorni dopo.



Il corpo fu portato prontamente e Milano dove le folle regalarono al futuro santo esequie trionfali e molto presto iniziarono a diffondersi voci di miracoli. Quello che certamente fece più effetto fu la conversione del vescovo cataro Daniele da Giussano, che pure aveva tramato per la morte di Pietro. Ancor più eclatante è il caso di Carino che fu sì catturato, ma lasciato fuggire dal Podestà che era simpatizzante della causa catara: il senso di colpa lo tormentava a tal punto però che decise di convertirsi ed entrare nell’ordine monacale domenicano. Visse a Forlì una vita pia e devota al punto che quando morì fu seppellito in chiesa venerato come beato nonostante le sue volontà fossero quelle di essere seppellito in terra sconsacrata fra i vili assassini per le sue colpe passate. 

La morte di Pietro quale martire della fede fece sì che la sua memoria e il suo culto si diffondessero in tutto il nord Italia al punto che a soli undici mesi dalla sua morte, il 9 marzo 1253, nella piazza della chiesa domenicana di Perugia, papa Innocenzo IV lo dichiarò santo.

Si narra che nel 1340 l’arcivescovo di Milano Giovanni Visconti fece costruire un’arca che potesse contenere degnamente il corpo del santo, ma a causa di un errore del costruttore, questa si rivelò essere troppo angusta e così l’arcivescovo decise di far tagliare la testa al corpo e porla in un’urna separata che portò a casa sua. Da quel momento però il prelato iniziò a soffrire di forti emicranie fino a quando non riportò la testa del santo accanto al suo corpo. Da allora il popolo iniziò ad acclamare San Pietro da Verona come protettore delle emicranie e a rappresentarlo con un falcastro conficcato in testa. Ancora oggi il 29 aprile (giorno una volta dedicato a San Pietro martire) c’è l’usanza di dare una testata all’arca per preservarsi delle emicranie tutto l’anno o ancora di strofinare l’urna che contiene la testa con un panno da avvolgere poi intorno al capo per guarire dal mal di testa.