C’è una bella locanda a Roma, si chiama Locanda dei Girasoli. Spicca perché è nata da un impegno assunto a suo tempo da una serie di famiglie di giovani con disabilità, diventate poi la Cooperativa I Girasoli (alla quale si sono successivamente unite le Cooperative Cecilia e Al Parco).
Arriva la crisi e la Locanda dei Girasoli, come tante altre realtà imprenditoriali, ha guai seri, e in molti sollecitano ad un aiuto concreto (pubblicità, cene) per farla vivere, perché è un esempio di come la disabilità non sia l’inferno che viene descritto da certi massmedia se trova un ambiente sociale o familiare adeguato. Questo non significa certo che la disabilità sia senza peso, anzi; ma nemmeno una notte invalicabile.
Ma aprite qualunque quotidiano e della disabilità troverete forse un accenno se c’è un riferimento a un vip. Eppure – solo per limitarci al campo dello sport – in questi giorni si sta organizzando il giro d’Italia in handbike (ma chi ne ha sentito menzione?), evento di altissima difficoltà sportiva; all’Abetone, in Toscana, si tengono giornate di sci per disabili; una ventinovenne napoletana da tre anni paraplegica ha percorso i 5 km della maratona di Lugano, con una tecnologia rivoluzionaria (tramite sensori di movimento e complessi algoritmi, percepisce i movimenti degli arti superiori elaborandoli in un moto organico). E mentre il Cant si aggiudica la Coppa Italia di basket in carrozzina, a Roma si sono disputate le fasi eliminatorie della Champions Leagueica, che affascina; basta provare a guardarlo.
Già, lo sport: sport paraolimpico, sport minori e sport femminili ancora risentono di una miopia dei media che sanno forse solo vedere l’audience. Non è un comportamento educativo; ma soprattutto non è sportivo nel senso che valorizza dello sport solo quello che indicano gli sponsor – non il valore agonistico reale, che certo non è espresso solo dai campioni strapagati e ultra famosi. Gli sponsor di solito valutano la popolarità di una disciplina o di un campione, e se già è alta la pompano, la rinfocolano… laddove la popolarità era già presente; chi non è già ultra popolare, aspetti; e passa l’idea che sport “minori”, sport femminili e sport di persone con disabilità siano “meno attraenti”. Ma avete mai provato a vedere una gara di judo o una corsa campestre fatta da sportivi (normodotati, disabili, uomini o donne) di alto livello? Roba da accapponare la pelle e domandarsi “Perché non me le fanno vedere di più?”
Gli atleti con disabilità sono certamente portatori di qualcosa di differente, ma compiono gesti ginnici altissimi, tanto che diventa chiaro che – paradosso – sono “più in salute” di tanti soggetti senza handicap. Fatela voi una discesa libera sulla neve con uno sci solo!
La salute non è la perfezione del corpo, ma la soddisfazione che abbiamo, a patto – certo – che questa soddisfazione non sia un accontentarsi ma sia supportata da un sistema sociale e familiare che accoglie, cura e sovvenziona. La salute è dunque “la soddisfazione supportata socialmente”, dunque è alla portata di tutti. La salute non è solo per chi è “sano”.
Abbiamo fatto una digressione sullo sport, ma come non si parla di disabilità nello sport, così non se ne parla nelle attività di tutti i giorni. La disabilità è un problema culturale ed economico di tante persone e tante famiglie che si sentono emarginate dal fatto di essere “famiglie differenti”, e dal fatto di voler amare e doverlo fare “a mani nude”. E’ dunque un problema anche politico, e chi avrà il compito di formare il prossimo Governo potrà mostrare quanto sia capace di cambiamento se mostrerà di mettere in primo piano le necessità e i desideri di chi ha più difficoltà e più speranze.
Più cure per chi ne ha bisogno, dunque, e più spazio nelle leggi finanziarie per chi ha reale bisogno; più visibilità per la disabilità, che non resti confinata alle trasmissioni-strappacuore. E una bella cena alla locanda dei Girasoli.