Colpo di scena nel processo per la morte di Lea Garofalo, collaboratrice di giustizia che decise di uscire dalla dinamica perversa della faida familiare che seminava morti tra il clan del fratello e quello di Carlo Cosco, compagno e madre di sua figlia Denise. Già condannato in primo grado all’ergastolo per aver strangolato e fatto bruciare il corpo della Garofalo nel 2009, per la prima volta oggi Cosco – che ha sempre respinto le accuse nei suoi confronti – durante l’udienza del processo di secondo grado tenutasi a Milano, ha esternano davanti alla corte  una confessione del delitto commesso. “Mi assumo la responsabilità dell’omicidio”, ha detto l’uomo, e ha continuato mettendo in luce ciò che lo fa più soffrire: l’essersi, cioè, attirato l’odio della figlia. “Io adoro mia figlia” ha continuato l’ex boss mafioso, “ma merito il suo odio perché ho ucciso sua madre. Guai a chi sfiora mia figlia, prego di ottenere un giorno il suo perdono”. Insieme a Cosco, altre 5 persone coinvolte nel delitto di Lea sono state condannate al carcere a vita, tra le quali Carmine Venturino, ex fidanzato di Denise, che, interrogato qualche settimana fa, confessò di aver dato fuoco al cadavere della vittima in un capannone di Monza insieme a un complice. La stessa Denise, piccola ma coraggiosa, è stata la testimone principale che ha portato all’arresto del padre: incurante del rischio che correva, ha deposto contro il suo stesso genitore e contro la sua stessa famiglia, quella stessa famiglia che, ebbe a dire, “o te la fai amica o ti ammazza”, ma che lei è riuscita a sconfiggere.