L’altra sera tornando a casa, in una delle strade più trafficate di un quartierone romano, l’ho visto, il panico: occhi alzati e sbarrati per il terrore, traffico rallentato, clacson e grida, via vai di macchine della polizia e uomini delle forze dell’ordine al telefonino. Un uomo, un ragazzo, pareva, voleva buttarsi giù dal balcone, piano alto, e contemporaneamente si teneva un coltello alla gola, poi al cuore, mancava solo il cappio minaccioso ala ringhiera. Ironia fuori luogo, si dirà. Perché la scena era da iscrivere al registro del grottesco, ma del comico, a sentire quel che confabulavano  carabinieri e a seguirne l’evoluzione. 



Sarebbe sceso, si poteva trattare. Cosa voleva? Lavoro, presupponiamo. Capita spesso, purtroppo. Una protesta plateale, che so, per parlare col Presidente, per attirare l’attenzione. Più o meno. Ma non su una vicenda drammatica personale o collettiva, manco per chiedere l’ineleggibilità di Berlusconi (c’entra sempre, vedi mai). No, quel ragazzo, non un adolescente, quasi sulla trentina, avrebbe desistito dai propositi suicidi in cambio di qualche telecamera e la partecipazione a un reality. Detto, fatto, ragionano abilmente con l’aiuto di consulenti medici i nostri angeli in divisa, attrezzati a vederne e sentirne di tutte. E nel viale, tra sguardi ammirati e allibiti ecco spuntare una limousine color caramello, vetri oscurati, con tanto di troupe televisiva al seguito. Eccoli qui, sono venuti a prenderti, ti aspettano in televisione, gli hanno detto. E lui è sceso, dal portone, incantato alla vista, ansioso dell’incontro tanto atteso col destino agognato. Come da barzelletta, purtroppo, l’hanno trattato con ferma pacatezza, lusingato con sorrisi, e appena salito in macchina, l’hanno disarmato e affidato ai neuropsichiatri. 



Ora, potremmo stare a lungo a discutere sull’invadenza dei media nella nostra esistenza, su quanto abbiano sostituito, e con quali danni, l’educazione e la cura di adulti che siano maestri. Possiamo ancora parlare di quanto la finzione rappresenti l’unica realtà desiderabile, quando la realtà fa schifo. Potremmo scomodare ancora una volta massmediologi e sociologi e pedagogisti. Mah. Mi viene in mente una sortita recente della nostra presidente della Camera, commento amaro alla folle sparatoria di piazza Montecitorio e alle tragedie dei suicidi per lavoro. La crisi rende le vittime carnefici. Che c’entra? C’entra, perché è prassi attribuire le colpe o le debolezze degli uomini alla società. 



Siamo tutti figli di Rousseau, che ci ha convinti che non siamo noi, il nostro male, con o senza la M maiuscola, ad indurci a commettere sbagli o reati. No, è l’ambiente, la società. Così, anche il ragazzo salvato da un finto reality, protagonista di un reality vero, sarà così pour cause, solitudine, inadeguatezza della famiglia, mancanza di un lavoro, emarginazione, bullismo da piccolo, che so, ce n’è una lista di colpevoli possibili. 

In questo caso, lui davvero colpe non ne ha. Il suo gesto ha i segni della malattia mentale, e foss’anche solo esibizionismo, ha comunque i tratti del malessere psichico. Ma appunto, può non dipendere dalla obbrobriosa società. 

Non conosco la sua storia, e sono pronta ad essere smentita. Ma quel ragazzo, o è una maschera pirandelliana da Oscar, un attore che sbeffeggia ridendo mores, oppure no. Potrebbe invece avere una famiglia modello che piange, e che tante volte fin da ragazzino ha cercato di strapparlo dalla visione ossessiva del piccolo schermo. Potrebbe avere amici meravigliosi, che ora scuotono la testa interrogandosi se hanno davvero fato tutto per lui. Chissà. Magari è una vittima. Magari no. È diverso. E in un mondo in cui il diverso di per sé è un eroe, un campione, un modello, anche un matto o un pazzerello non dovrebbero avere il loro posto? Ed essere voluti bene per quello che sono? 

Rivendico il diritto ad essere matti, o cattivi. Da soli. La libertà di scegliere, o di essere quel che la natura mi ha dato di essere alla nascita. Che la tv renda imbesuiti, lo sappiamo bene, ma la guardano ogni giorno milioni di persone. Qualcuno soprattutto i reality, anche se sono in calo. E alla peggio sbadigliano, o si fanno due risate, o perdono un po’ o tanto del loro tempo. Non si uccidono per astinenza, in genere.