Le chiese a maggio. Ma avete mai visto le chiese di maggio ? Sono aperte anche la sera, perché questo è il mese della Madonna, anche se i giornali non ne parlano e non v’e’ menzione nei palinsesti, finanche quelli delle feste campestri. Eppure la gente esce ancora di casa, a maggio, e va a trovare la madre della Provvidenza, come faceva mia nonna al paese o mia mamma in città. E mi prendeva per mano alla sera per andare a un incontro di popolo che, ripeto, le cronache odierne non sembrano considerare. L’altro giorno ero a Melegnano, e da lontano ho visto la facciata della chiesa di Santa Maria del Carmine, che alle otto di sera era aperta. Una chiesa buia, con la sola luce di questa Madonna col bambino in braccio e la corona. Aveva un volto tenero quella Madonna, come di una ragazzina che va a scuola e sa che quello è il suo compito. Una ragazza tenace, certa, come Flaminia Nocchi che ho conosciuto recentemente e che a 22 anni porta avanti un progetto col padre dedicato alla salute attraverso i cibi. O come i figli di questa generazione che studiano, incuranti delle analisi che danno prospettive grigie al nostro Paese. No, loro portano avanti un compito, il compito del loro tempo. E tutto questo, visto dagli occhi di un padre, è fantastico, come la storia della Madonna, alla quale non sono state risparmiate fatiche e dolore, dentro a un percorso che oggi, nelle sere di maggio, coinvolge anche la povera, umile gente, che accetta di strapparsi dalla televisione per andare a trovarla. Ma si può? Una persona di questa epoca, avulsa da un contesto di popolo com’era 50 anni fa, fa un gesto che sembra anacronistico, tant’è che i giornali e le televisioni non ne parlano. E se non ne parlano loro, non esistono (Ma vi sembra vero?). Comunque io ero a Melegnano per andare a cena in un posto dove vorrei mandare le persone alle quali voglio più bene, benché semplice nell’arredamento. Il ristorante si chiama Taurasi ed è vicino alla chiesa della Madonna del Carmine. È il locale della famiglia Casale, originaria di quel paese campano, Taurasi, e parente di tutti i produttori di vino di quelle terre, come la famiglia Lonardo e il sommo Antonio Caggiano. Qui fanno la pizza napoletana, ma il menu della tradizione è uno spettacolo. Abbiamo assaggiato il capocollo di Martina Franca, e il salame di Mugnano del Cardinale; tra i primi, i paccheri di San Giuseppe, la pasta patate e cozze e la minestra pignata; tra i secondi la lombatina di agnello fritta con i lampascioni, il capocollo di maialetto di cinta con riduzione di Aglianico e aceto balsamico, il baccalà alla pertecaregna. E poi i formaggi: provolone Auricchio, formaggio di capra, pecorino di Carmasciano e formaggio di vacca stravecchio. E che dire del trionfo dei dolci: pastiera napoletana, torta di babà con crema e fragoline di bosco e torta cassata con ricotta di pecora, gocce di cioccolato e glassatura di pasta di mandorla. Alla fine Leonardo ci ha offerto un irresistibile distillato di mele annurche (superbo). 



La figlia Stefania ha vinto un concorso di interpretazione di piatti a base di formaggi gorgonzola, ricotta, mascarpone e mozzarella. Ed è all’estero come tanti giovani italiani. Anche qui, ognuno a fare il suo compito, ognuno a fare e a brigare, scoprendo che nel nostro paese c’è già la Provvidenza, quella che, prima che noi ci fossimo, ci ha dato le mele annurche, il provolone e il capocollo. Bisogna solo dire Grazie!

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