Il calvario del sito industriale dell’Ilva di Taranto non ha fine. Tra sequestri, sigilli alla produzione, malattie e disastri ambientali, i militari della Guardia di finanza hanno arrestato il presidente della Provincia, Giovanni Florido, nell’ambito dell’inchiesta su presunti favori allo stabilimento. Florido è accusato di concussione in merito alla gestione dell’Ilva della discarica Mater Gratiae. Con lui, sono stati fermati anche l’ex assessore provinciale di Taranto all’Ambiente, Michele Conserva, l’ex segretario della Provincia di Taranto, Vincenzo Specchia, e l’ex dirigente dell’Ilva, Girolamo Archinà.
I primi due sono accusati di aver indotto, dal 2006 al 2011, dirigenti del settore ecologia e ambiente della Provincia di Taranto a rilasciare i permessi per la discarica gestita dall’Ilva nonostante mancassero i requisiti tecnico-giuridici. Archinà avrebbe agevolato le attività dello stabilimento effettuando, tra le altre cose, un tentativo di concussione. Abbiamo chiesto al senatore del Pd, Felice Casson, che da magistrato si è occupato di morti bianche e del processo al Petrolchimico di Marghera, un giudizio sulla vicenda.
Lei che idea si è fatto?
Il caso dell’Ilva di Taranto, così come quello di Porto Marghera, ripropone per l’ennesima volta l’antagonismo tra salute e lavoro. Nei decenni è accaduto che, anche da parte dei pubblici amministratori, fosse privilegiata la tutela del lavoro a scapito dalla salute dei lavoratori e della popolazione. Un dato negativo, ma fisiologico rispetto alla gravità della situazione industriale italiana.
E poi?
Per quanto riguarda l’Ilva, ci tengo a precisare che le accuse per le persone arrestate vanno provate dalla magistratura. In ogni caso, in generale possiamo affermare che quando i disastri ambientali raggiungono una simile portata, vuole dire che si è entrati nel patologico. Ovvero, che ci sono stati interventi di tipo criminale, corruzioni e concussioni di vario genere da parte di operatori pubblici e privati che hanno approfittato della situazione per interessi e profitti personali.
Com’è possibile che situazioni del genere si siano protratte per anni?
Al di là delle responsabilità di tipo penale, per anni c’è stata una carenza dei sistemi di controllo. Sia sul fronte della salute dei lavoratori e della popolazione che su quello ambientale. Le responsabilità sono sia di natura amministrativa che giudiziaria. Vuol dire che i controlli amministrativi non hanno funzionato, e che la magistratura non ha fatto il proprio dovere; non ha applicato, cioè, ad una situazione nota ormai da decenni le norme penali a tutela delle persone e dell’ambiente.
Si tratta di fenomeni diffusi e generalizzati?
Purtroppo i siti industriali interessati da gravissime forme di inquinamento esistono in tutte le Regioni, mentre i processi come quelli per l’amianto o per il Porto di Marghera sono pochissimi.
Perché?
I processi in materia sono estremamente difficili. Occorre trovare il nesso causale malattia per malattia, mentre i magistrati e gli organi di investigazione non sono preparati professionalmente per indagare su certi tipi di reati. Solo di recente il Csm ha predisposto dei corsi formativi.
Anche nel resto del mondo ci sono questi problemi?
La questione è piuttosto generalizzata. Pressoché ovunque gli interessi produttivi sono sempre stati anteposti alla salvaguardia della salute e dell’ambiente. Oggi, tuttavia, non è più accettabile che le due cose non vadano di pari passo.
Come si fa a contemplare entrambe le esigenze?
E’ sufficiente applicare le norme già esistenti. Andrebbero applicate per tempo, e non di fronte alle malattie, alle morti o ai disastri ambientali.
(Paolo Nessi)