Tra quelli che non scelgono, né la scuola né il lavoro; tra quelli a cui non piace né studiare né hanno in mente un lavoro per cui darsi da fare; così era stato per lui, che era presto finito a ciondolare nelle piazzole e vicino alle stazioni dove alle prime luci dell’alba passano senza attirare troppo l’attenzione i furgoni dei caporali, che raccolgono chi sta ad aspettare un lavoro di giornata, immigrati, clandestini: i camioncini, stipati di uomini che non si conoscono, che non si sono mai visti prima, partono tutte le mattine per andare a svendere manodopera per i traslochi, per il caricoscarico di merce che a volte è meglio non vedere, per il lavoro nero nei cantieri.
Per molto tempo era stata la sua vita; parti con le prime luci, torni con le ossa rotte quando fa buio, solo fatica bestiale e nessun lavoro imparato, per di più subito ti fai riconoscere, tanto che il tizio che sceglie ti lascia sempre per ultimo, ti prende proprio quando non può farne a meno. Così che quando conosci questi due, padre e figlio, che chiedono di te per un paio di volte, con cui lavori per qualche giorno, poi per qualche settimana, e che sopportano senza chiedere troppo le tue mattane e le giornate storte, cominci a dirti che faresti meglio a tenerteli buoni. Lavorano come carpentieri nei cantieri della nuova metro, brutti orari e poca paga, ma ti conviene stargli dietro, anche se cominciano a darti fastidio con quei silenzi supponenti, quegli sguardi dall’alto in basso, come se ti tenessero sì, ma come per farti sentire la loro superiorità, un’alleanza contro di te, tu che cerchi perfino di offrirgli il caffè e ti fai trovare tutte le mattine nel bar in cui fanno colazione.
Comincia a montarti la rabbia perché ti sembra che a loro sia andato tutto bene, e che a te invece niente; che hanno tutte le fortune, il figlio che si trova in mano il lavoro del padre senza aver fatto niente per meritarselo, il padre che riserva al figlio tutti i compiti meno faticosi, sicuri uno dell’altro, un po’ sprezzanti verso di te, che ti insinui, che cerchi di renderti indispensabile; ma ti rode il lavoro troppo duro solo per te, la noncuranza con cui dimenticano di pagarti, sembra che facciano apposta ad aspettare che glieli chiedi, i soldi, se no neanche te li danno. Un po’ troppo insistente, sempre pronto ad offendere, arrogante; fin quando alla fine te lo dicono chiaro che non gli servi più, che puoi cercarti un altro posto se lo trovi. 



Torvo, cominci a far lavorare il cervello solo su quello che hai perso, solo per colpa loro; risenti le cattive parole, pensi che non gliela devi far passare liscia, dopo tutto quello che hai fatto per loro, neanche ti hanno dato gli ultimi soldi che ti dovevano. 
Si credono superiori a te, che invece sai esattamente dove e quando trovarli, tutte le mattine allo stesso posto nella stessa ora, e tutt’e due insieme, che ciascuno veda quello che farai all’altro. Adesso, che ti sei sfogato, che sei sudato neanche avessi scaricato da solo un camion , che ti tremano le mani e hai la bocca amara; no, non sei soddisfatto, non ti sei liberato. Niente da fare, da lì, dal bar pieno di sangue e vetri rotti, non ti smuoverai più; le ultime forze ti servono per barcollare sul marciapiedi, sai che la caserma dei carabinieri è lì avanti.

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