La presenza oramai consolidata dei movimenti religiosi all’interno della Chiesa, in particolare di quella cattolica, risponde, per chi vi aderisce, all’esigenza elementare di rielaborare la propria consapevolezza religiosa dentro l’esperienza concreta di un’appartenenza condivisa. In pratica se, in linea di principio, non è possibile “incontrare Cristo” senza incontrare quanti condividono questo stesso desiderio e si attivano di conseguenza, i movimenti rappresentano l’intreccio tra quest’esigenza di educazione e quella di vita trasformata a partire da una rete concreta di persone che la condivide e la sostanzia.



Ovviamente ogni movimento declina questa stessa esperienza in modo particolare. Nel caso di Comunione e liberazione, per esempio, questa si espone costantemente alla dimensione della “carità” e a quella dell’“opera”: due modi tra loro connessi di coniugare esperienza educativa e appartenenza ecclesiale all’interno della società contemporanea. Sotto quest’aspetto, Cl non è semplicemente “aperta” al mondo, ma di fatto è “lanciata” all’interno di questo. Da qui scaturisce quella sorta di operosità visibile ed organizzata che tanto stupisce gli osservatori.



Certo, la realtà cambia. Molto anni sono trascorsi da quel memorabile 30 maggio 1998 in piazza San Pietro, in compagnia di papa Giovanni Paolo II. Ho la sensazione che dal 1998 ad oggi molto si sia chiarito e tutto appaia meno “ruvido”. La presenza dei movimenti risulta sempre più consolidata. Oggi, più di quindici anni fa, appare ancora più chiara la loro sostanza, i caratteri costitutivi di ciascuno di questi. In una realtà come quella di Cl ad esempio appare oramai chiaro, e molto più netto di quanto non lo fosse già in passato, il pensiero e l’opera di don Giussani. Proprio ora che questi, il fondatore, non è più presente in carne ed ossa appare tutta la ricchezza della sua iniziativa e delle sue intuizioni. Si potrebbe dire che oggi si può constatare, con maggiore facilità, l’importanza e la misura della sua eredità. Un tale processo di chiarificazione sembra avvenire anche in un altro movimento per il quale il fondatore è scomparso: i focolarini.



Nel tempo che stiamo vivendo, i movimenti trovano dinanzi a se stessi diverse sfide. In declino l’epoca dei conflitti di tipo puramente ideologico, tesi ad inquadrare ed a liquidare i movimenti religiosi all’interno dello scacchiere politico attribuendovi le etichette dell’asse destra/sinistra o dello scacchiere culturale posizionandoli dentro la dicotomia tradizione/progresso, la sfida appare, oggi, più diretta. Si tratta, per il mondo, di tollerare una Chiesa “confessante”, per la quale il Cristo storico è un fatto e l’intera esperienza degli apostoli e dei discepoli è ancora concretamente percepibile. Ad una rappresentazione laica del cristianesimo come religione millenaria, fondata a partire da reperti storici tutti da definire ed eternamente da precisare, si contrappone la convinzione secondo la quale tutto è appena avvenuto ed il sudario ripiegato è stato appena riposto. Quello che per la società secolare è una radice confusa e opaca, per i movimenti religiosi appare come un fatto storicamente evidente e, proprio per questo, ancora nitidamente leggibile. 

Ora, è proprio una tale percezione che a molti appare intollerabile. Il non aver ridotto la religione ad una delle tante pratiche culturali, ma l’averla rivendicata come verità storica costituisce la vera provocazione, quella che la società secolare non può accettare senza interrogarsi su sé stessa. Risiede qui, per la mentalità secolare, il più insopportabile degli integralismi e quindi è proprio questo il livello di sfida che i movimenti si trovano dinanzi.

Vivere la fede nella storia costituisce sempre una sfida. Ovviamente ogni esperienza religiosa si espone a dei rischi ed i movimenti religiosi non costituiscono affatto un’eccezione. Il primo è proprio quello di perdere la dinamicità caratteristica del movimento per concretizzarsi in una struttura burocratico-razionale. Ciò consentirebbe grandi vantaggi sul piano tecnico ed operativo, ma comporterebbe una trasformazione irricuperabile della dinamicità e dell’immediatezza, compromettendo la principale attrattiva che fa dei movimenti una forma di presenza e di appartenenza particolare. 

Un secondo rischio è quello della “secolarizzazione interna”, intesa qui come una ricaduta nell’umano ordinario, al punto tale che questo imprigiona l’aspirazione al vero e blocca il desiderio del cuore che sono, l’uno e l’altro, il vero motore che anima la vita di queste moderne “compagnie di credenti”. Aspirazione al vero e desiderio del cuore sono invece garantiti dalle costanti ricapitolazioni, dai continui ritorni alla radice essenziale, realizzati dai costanti e continui momenti di meditazione e di preghiera. Senza quest’intensa attività spirituale, che i movimenti attivano e che spesso resta ignota al grande pubblico, la riduzione a semplice associazione secolare sarebbe inevitabile. 

Tuttavia, tanto il primo quanto il secondo rischio sono gli stessi che corre la Chiesa in quanto tale. Non è a caso che tanto i rischi di un’evoluzione in senso burocratico quanto quelli del riflusso del desiderio originario nell’amministrazione ordinaria del quotidiano siano stati al centro delle osservazioni critiche che Papa Francesco ha formulato fin dagli inizi del suo pontificato. Per tale strada questo pontefice sta riportando alla luce la matrice originaria dalla quale si rifonda costantemente la Chiesa: una matrice che i movimenti non cessano di recuperare e di ricollocare al centro. Da qui l’evidenza di una corrispondenza sostanziale e, almeno da questo punto di vista, di una consegna inevitabile, da questo pontefice alle compagnie degli “entusiasti della resurrezione”.

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