La Procura di Palermo ha inserito il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, tra i 176 testimoni chiamati a comparire nel processo sulla trattativa Stato-mafia che si aprirà il 26 maggio prossimo. Il capo dello Stato sarà chiamato a riferire sulle lettere scambiate con l’ex consigliere giuridico, Loris D’Ambrosio, relative alle istanze sollevate dall’ex ministro dell’Interno, Nicola Mancino. Ilsussidiario.net ha intervistato Cesare Mirabelli, professore di diritto costituzionale nella Pontificia Università Lateranense di Roma ed ex presidente della Consulta.



Che cosa ne pensa della scelta della Procura di chiamare il Capo dello Stato a testimoniare?

Sembra una tendenza elusiva di un provvedimento precedente. E’ del tutto singolare che vi sia questa richiesta di inserimento della testimonianza del presidente della Repubblica, tanto più se, come sembra, la sua deposizione dovrà riguardare atti e attività che sono specifica attuazione dell’esercizio delle sue funzioni o connessi a quest’ultime. Si tratta realmente di un’inappropriatezza, e bisognerà vedere se questa testimonianza sarà ammessa o meno.



Il presidente non è però chiamato sul banco degli imputati ma semplicemente come persona informata dei fatti …

Certamente, ma il fatto che sia soltanto un testimone non sposta la questione di un millimetro. Il capo dello Stato può essere chiamato a fare dichiarazioni, deporre, illustrare atti o attività svolte nell’ambito delle sue funzioni? Sarebbe davvero singolare se fosse così. Se la Corte costituzionale a dicembre ha ordinato la distruzione delle intercettazioni che riguardavano Napolitano, sancendo così il principio che il capo dello Stato non può essere intercettato, non si capisce come possa essere chiamato a testimoniare in un processo.



E quindi?

Ci troviamo di fronte a una volontà del pubblico ministero di coinvolgere comunque il presidente in un’attività, in un modo che sembra reattivo rispetto al precedente giudizio della Corte costituzionale.

Ma scegliere i testimoni non fa parte delle prerogative dei pm?

Un conto è un cittadino che ha assistito a un omicidio e che è chiamato a deporre, un altro Giorgio Napolitano che è chiamato a deporre in quanto presidente della Repubblica e su atti che riguardano il suo ufficio. Questa richiesta è dunque davvero singolare, e altrettanto singolare sembrerebbe essere il contenuto. Se quest’ultimo riguarda realmente le lettere scambiate tra Napolitano e il suo consulente legale, Loris D’Ambrosio, non c’è nulla da testimoniare in quanto le missive sono già state pubblicate. Se si tratta di conoscere le circostanze, le condizioni, i nomi o qualsiasi altro elemento che riguardi l’esercizio delle funzioni del presidente, non mi pare che possa essere oggetto di una qualunque delle interrogazioni sulle quali il presidente in qualsiasi modo debba rispondere.

 

Ritiene che l’esercizio delle funzioni del presidente dovrebbe essere coperto da una sorta di segreto?

Al di là del segreto, non ci può essere un’attività indagatoria o conoscitiva sul presidente né da parte del Parlamento né da parte della magistratura.

 

Quali possono essere le conseguenze del fatto che la Procura vada avanti comunque per la sua strada?

La Procura lo può chiedere, bisogna vedere se il giudice lo ammetterà o meno. Il tribunale potrebbe respingere la richiesta di comparizione di Giorgio Napolitano come teste. Allo stesso modo, se un parlamentare presentasse un’interrogazione attraverso la quale chiedesse di conoscere che cosa ha fatto il presidente della Repubblica in una determinata circostanza, il presidente della Camera o del Senato potrebbe non valutare questa richiesta come ammissibile.

 

Quindi lei ritiene che la richiesta di comparizione di Napolitano sarà respinta?

Questo francamente è impossibile immaginarlo, perché mi pare che la fantasia nelle azioni, nelle iniziative e nelle istituzioni stia prendendo il sopravvento rispetto alla linearità del modo di procedere.

 

(Pietro Vernizzi)

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