Il 25 maggio la Chiesa Cattolica celebra la memoria di San Canio di Atella, vissuto nel III secolo. San Canio, conosciuto anche come Canione, nacque nella prima metà del III secolo nella provincia dell’Africa Romana, a Iulia, nei pressi di Cartagine. Convertitosi giovanissimo alla fede cristiana, dopo aver ricevuto il battesimo, ascese rapidamente i gradini della gerarchia ecclesiastica della sua diocesi, fino a divenirne vescovo. In quell’epoca l’esistenza dei cristiani, pur non accettata dalle autorità romane, veniva spesso tacitamente tollerata, specialmente nelle aree più periferiche dell’Impero. A partire dall’ascesa al trono dell’imperatore di origine dalmata Diocleziano, nell’anno 284, le persecuzioni contro i cristiani divennero sempre più frequenti, raggiungendo livelli di ferocia che non si manifestavano da diversi decenni.
San Canio, conosciuto alle autorità romane come vescovo, venne convocato davanti al prefetto Pigrasio, che lo obbligò a confermare la sua fedeltà alla religione ufficiale offrendo sacrifici di fronte agli idoli e al busto dell’imperatore. San Canio rifiutò categoricamente di sacrificare sia agli idoli pagani, che definì prodotto della fantasia e della superstizione, sia all’imperatore, che definì un uomo comune, privo di connotati divini. Il prefetto Pigrasio, furente, fece imprigionare San Canio, ordinando di gettarlo nelle segrete e di torturarlo sino a che non avesse abiurato la religione di Cristo. In carcere, per ordine di Pigrasio, si ridusse il vitto di San Canio e si cercò con ogni modo di piegarlo. Né la fame, né la sete, né le minacce, né le torture riuscirono a piegare l’animo di San Canio. Al contrario, il vescovo predicò la parola di Cristo anche dalla sua prigione, convertendo criminali comuni, prigionieri politici e anche alcuni tra i suoi più feroci aguzzini. Il prefetto Pigrasio, vedendo l’ostinata resistenza di San Canio e volendo evitare che la fede cristiana si diffondesse presso i suoi soldati, ordinò di uccidere il vescovo.
Per il suo status di cittadino romano, San Canio ottenne la condanna a una morte rapida: il prefetto ordinò, in conformità con le leggi promulgate anni prima dall’imperatore Caracalla, di decapitarlo. Giunto il momento dell’esecuzione capitale, un violento terremoto scosse la terra, e in seguito un torrenziale nubifragio – insolito nell’Africa Settentrionale – si abbatté sulla città. Il boia e i soldati che custodivano San Canio si spaventarono e, credendo che gli eventi fossero un ammonimento divino, lasciarono andare il vescovo, permettendogli di scappare. San Canio e alcuni dei suoi fedelissimi riuscirono fortunosamente a raggiungere il porto e a imbarcarsi su una vecchia barca da pesca per fuggire. La Provvidenza li fece navigare sino all’Italia, e i fuggitivi presero terra nell’attuale Campania, nei pressi del fiume Volturno.
San Canio e i suoi discepoli si stabilirono nell’area, diffondendo la parola di Cristo e convertendo le popolazioni, esortandole a non temere le persecuzioni di Diocleziano. San Canio scelse di stabilirsi ad Atella (l’attuale Sant’Arpino, in provincia di Caserta). Nella sua nuova città, San Canio predicò il Vangelo e iniziò a compiere alcuni miracoli. Nell’anfiteatro della città, il santo guarì con il solo tocco della mano un uomo che era stato colto da un’angina pectoris; mentre nelle campagne circostanti, San Canio ridiede la vista a Eunemia, una donna cieca, e liberò dalla possessione di Satana un giovane ragazzo indemoniato.
Dopo diversi anni trascorsi ad Atella, San Canio, anziano e malato, scelse di passare il resto della sua vita in preghiera e meditazione, ritirandosi in una zona appartata come eremita. Morì mentre dormiva. Il vescovo Elpidio, informato della morte del sant’uomo, ordinò immediatamente di recuperarne le spoglie e di metterle in un sarcofago di marmo. Sul punto della morte di San Canio venne edificato, per ordine del vescovo Elpidio, un tempio. Agli inizi del IX secolo, il corpo di San Canio venne trasportato ad Acerenza, in Lucania. San Canio è protettore della città di Acerenza, e le sue reliquie sono conservate all’interno della cattedrale cittadina.