Daniela e Franco abitano a Ravenna, ma sono originari della Sardegna. Hanno 44 e 47 anni. Nel 2008 hanno adottato Ariane, una bambina brasiliana che oggi ha quasi 11 anni. “Abbiamo adottato perché il nostro essere famiglia, noi due soli, non ci bastava più. Sentivamo il bisogno di crescere dei figli, di moltiplicare il nostro amore. Il sorriso e la solarità di nostra figlia è la cosa più bella del mondo, quello che ti fa dire grazie ogni momento della giornata, per averci dato l’opportunità di vivere un’esperienza così unica e grande”. Adottare con AVSI, dicono, “è stato come stare in famiglia”.



Ma l’adozione non è sempre stata nei pensieri di Daniela e Franco, ammettono tranquillamente. “Era una strada che ci faceva un po’ paura, tempi troppo lunghi, troppo costosa. Soprattutto avevamo paura di non riuscire a sentire “nostro” quel bambino. Abbiamo fatto due tentativi per la procreazione assistita, ma era una strada che non sentivamo. Un giorno stavo poco bene – ricorda Daniela – sono andata dal nostro medico e mi chiede se per caso ero incinta. Io sorrido e le spiego il nostro percorso e lei mi porge un volantino su un corso informativo sull’adozione. Eravamo titubanti, ma alla fine ci siamo iscritti. Il corso era organizzato dal gruppo di Famiglie per l’Accoglienza della nostra città. Siamo arrivati alla prima serata pensando soprattutto che ci saremmo trovati davanti a delle persone tristi e rassegnate. Un po’ come lo eravamo noi in quel momento”.



Conoscere per capire. Non è stato così. “Invece ci ha accolto un gruppo affiatato. Ancora oggi ricordiamo il sorriso di quelle persone che ci raccontavano le loro esperienze. Siamo stati travolti dalla loro serenità e così abbiamo dato la nostra disponibilità all’adozione. Dentro di noi sentivamo che già si faceva spazio per quei figli che ancora non conoscevamo. Era come se li sentissimo già crescere. E non ci importava il colore o il paese d’origine. Ci sentivamo una famiglia piena”.

L’adozione è un percorso spesso lungo. Nel caso di Daniela e Franco è durato 4 anni. “Ma questo tempo ci ha aiutato a crescere interiormente e ci ha preparati e resi più forti per affrontare le difficoltà. Quando siamo partiti per il Brasile, sicuramente eravamo due persone diverse”.



Cosa avete imparato da questa esperienza? “Se ripensiamo che la cosa che ci faceva più paura era la possibilità di non sentirla “nostra” figlia, ora ci viene da sorridere, perché lei è certamente nostra figlia e non poteva essere altrimenti. Quest’esperienza ci sta insegnando che essere genitori – in qualunque modo lo si diventi – è un mestiere molto difficile, ma forse nel nostro caso lo è un pochino di più.

Abbiamo imparato a leggere i silenzi, ma anche ad affrontare la tanta rabbia che, a volte, esce fuori. Abbiamo imparato a ridimensionare il tutto. Abbiamo imparato a mettere da parte tanti principi che ci sembravano fondamentali, perché a volte un abbraccio dà molti più risultati di una sgridata o di una punizione”.

Una esperienza che ha insegnato a non dare mai nulla per scontato.“Un giorno si fanno due passi avanti e il giorno dopo se ne fanno quattro indietro. E visto che nostra figlia ci sembrava molto ben integrata in famiglia abbiamo intrapreso il cammino per la seconda adozione. Ma dopo un primo momento di entusiasmo, la bambina ha iniziato a tirare fuori tutte le sue paure, ha ripercorso la sua storia di adozione nel modo che mai ci saremmo aspettati, sfidandoci e mettendoci alla prova fino allo sfinimento e ci ha fatto capire che non è ancora pronta a dividerci con un’altra persona. Morale, abbiamo dovuto fare un passo indietro. Ecco, nulla è scontato. Nessuna scelta può essere presa alla leggera, senza considerare il bene di chi è già in famiglia. Ma non dimenticheremo mai lo stupore e la felicità di nostra figlia la prima volta che ha visto la neve, così come non dimenticheremo mai il suo “primo vero” abbraccio spontaneo dopo mesi che stava a casa con noi senza che chiedesse nulla in cambio”.

 

(Elisabetta Ponzone)

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