Mandando a scuola i propri figli, i genitori affidano all’istituzione scolastica non solo la loro istruzione, ma, implicitamente, anche la loro custodia, ossia la cura della loro incolumità fisica e psichica. Il dovere di vigilanza che ne deriva a carico degli insegnanti e, in generale, del personale scolastico, fonda la responsabilità della scuola e del personale scolastico (docente e non docente, secondo le rispettive competenze) per i danni che i ragazzi loro affidati possono arrecare ad altri – ivi compresi i compagni – od anche a se stessi. La legge (articolo 2048 del codice civile) parifica sotto questo profilo la posizione dei “precettori e maestri d’arte” (dizione un po’ desueta nella quale viene unanimemente ricompreso il personale docente e non docente della scuola) a quella dei genitori nei guai combinati dai figli conviventi.
E’ una responsabilità che, in sostanza, si fonda sulla violazione del dovere di vigilanza, e che quindi erroneamente viene affermata come “oggettiva”. Ovviamente l’obbligo di vigilanza ha diversa intensità a seconda dell’età e del grado di maturità dei ragazzi: ben più impegnativo è il controllo anche fisico richiesto alle maestre della scuola dell’infanzia rispetto a quanto è esigibile da un professore di liceo. Il personale scolastico, e l’amministrazione scolastica quale datore di lavoro, dovrà quindi risarcire tutti quei danni che derivano da una inadeguata vigilanza.
Sono esclusi dalla responsabilità risarcitoria solo quei fatti che genitori, maestri e precettori “provano di non aver potuto impedire”, ossia quei fatti o comportamenti del tutto imprevedibili e posti al di fuori dell’ambito di controllo loro ragionevolmente richiedibile. Con riguardo al personale delle scuole pubbliche tale responsabilità è stata espressamente (articolo 61 legge 11 luglio 1980 n. 312) limitata alle sole ipotesi di dolo o colpa grave; sembra ragionevole pensare che tale liberatoria sia stata motivata dalla preoccupazione di non porre il personale scolastico in una situazione di preoccupazione, di rischio che, alla lunga, inficerebbe la possibilità di un rapporto educativo libero con gli alunni; è peraltro un’esigenza che viene sentita anche dalle scuole libere o private. Chiaramente, poi, anche il personale scolastico, come tutte le persone adulte e capaci, è chiamato a rispondere dei propri personali comportamenti illeciti o inappropriati.
Nel caso di Bologna, non è dato capire su quale base si fondi la condanna di suor Stefania Vitali preside della scuola Maestre Pie. I dati riportati dalle notizie di agenzia sono assai scarni: un ragazzino tredicenne convocato in presidenza per chiarimenti su un comportamento ritenuto non corretto – il possesso di alcune sigarette -; il gesto improvviso del ragazzo che si getta dalla finestra, e rimane gravemente invalido.
Su questi soli elementi, la condanna civile – al risarcimento del danno all’interessato e alla sua famiglia, compreso il danno morale al fratello – della preside e della scuola appare ingiustificata, in quanto la reazione del tutto abnorme del ragazzo si porrebbe come fatto imprevedibile e appunto come tale non ragionevolmente evitabile.
Ancora maggiori perplessità suscita la condanna penale. La responsabilità penale richiede sempre una condotta – attiva od omissiva – direttamente ascrivibile all’imputato, e la notizia come riportata non accenna in nessun modo al comportamento tenuto dalla preside nel colloquio con il ragazzino. La convocazione in presidenza di per sé non ha alcun contenuto vessatorio, ed anzi appare del tutto coerente con una vigilanza attenta ed educativamente precisa; con il ragazzino era stato chiamato anche un compagno; non viene neppure ipotizzato un atteggiamento eccessivamente punitivo della preside, tale da aver provocato nell’animo fragile del preadolescente, già forse turbato da un precedente insuccesso scolastico, la subitanea decisione di farla finita.
Si deve supporre, per carità di patria (ossia per la stima che doverosamente va riservata all’amministrazione della giustizia) che i giudicanti avessero altri elementi che non sono stati resi noti; certo è singolare che di una notizia così carente e monca si sia voluto proprio dare risalto al nome della preside e della scuola, quasi che l’essere una scuola cattolica desse ragione di quanto accaduto…