A Napoli una giovane donna è stata trovata chiusa in un sacco della spazzatura, in fin di vita, massacrata di botte. È in rianimazione, non è certo che riesca a farcela. Ha la milza spappolata, un polmone bucato, trauma cranio-facciale, toracico, addominale, eccetera eccetera. L’elenco impietoso dei referti diagnostici dice la brutale ferocia, la belluina violenza che ha dovuto subire. Da chi? Dal suo compagno, o ex compagno, che poi è scappato, dopo averla picchiata selvaggiamente davanti alla sua bambina. Pare si tratti di un italiano, forse italiano di origini brasiliane, adottato. Motivi passionali? Difficile affermarlo. La ragazza, di origini albanesi, si prostituiva, il presunto omicida conviveva con un’altra prostituta, sempre albanese, che abitava con la vittima, insieme ai suoi due bambini.
Si annusa l’olezzo della criminalità organizzata, della tratta delle schiave, di prigioni orrende sotto gli occhi di tutti, in una grande città. Un omicidio è sempre l’assassinio di una persona, si tratti di un uomo, di una donna, di un bimbo, di un anziano, di un gay. Persone, che la legge tutela secondo il diritto. Le leggi ci sono, anche il male terribile che l’uomo sa scatenare, dentro e fuori di lui. Però, scorrendo le pagine di cronaca di questo anno difficile, drammatico, per la crisi che colpisce troppe persone e facilita la follia, incita a vendette cieche, un dato è evidente e sconcertante: troppe donne. Mogli, madri, amanti, figlie, ragazze appena conosciute, su cui si è appuntata la brama perversa di chi non potendo possederle, preferisce ucciderle.
Troppe donne, 120 dall’inizio dell’anno. Forse c’è già un’altra vita rubata, mentre teniamo il conto a fatica. Ogni giorno, in quelle che chiamano famiglie, e dovrebbero essere custodi di amore e tenerezza. O in legami affettivi che dovrebbero essere l’inizio di una storia, la possibilità di un futuro condiviso. Troppe donne che hanno sempre detto sì. O per costrizione, è il caso di cronaca quotidiano, o per l’illusione di un amore. Quando si dice sempre sì, è difficile ricordarsi che si ha una dignità, che nel bene è naturale il rispetto, l’esercizio della libertà. Troppi sì, per paura, per abitudine, per quieto vivere, per omertà. Perché non si sa dove andare, da chi andare. Perchè ci si vergogna, perché ci sono di mezzo i figli, perché i parenti, la tradizione, la povertà. E denunciare è faticoso, dilaniante, tocca avere coraggio e aiuto.
Ci sarebbe, l’aiuto. Ci sarebbero, associazioni e forze dell’ordine pronte e capaci, in grado di districare i grovigli che incatenano in nome del sentimento a una vita da recluse. Ma cercarle costa. Ammettere la sconfitta, affrontare la solitudine, i giudizi.
Riconoscere che ci si è sbagliate, che gli uomini possono cambiare, che chi hai amato e ti dava fiducia può volere il tuo male. Si comincia con le parole. Poi i ricatti, le minacce. Poi, chissà. Può andar bene, e chinare la testa serve a parare i colpi più pesanti. Oppure no: quante donne incredule, hanno alzato le mani a difesa, implorato no, non odiarmi, non farmi del male, davanti alla pazzia di un uomo che avevano perfino amato.
Dunque, se il diritto non basta, tocca cambiare il diritto. Dunque, se non bastano l’educazione, una raggiunta parità davanti alla legge, tocca inventarsi qualcos’altro, perché le donne sono soggetti più deboli, inutile negarlo. Almeno davanti alla violenza: la loro forza sta tutta nell’accoglienza, nella pazienza, nella sensibilità, nella cura. Anche la donna peggiore è così, e i casi di follia criminale tra donne sono ben più rari. Le donne di solito non usano la forza bruta. E vanno protette da chi è solito usarla.
In ogni modo, e tocca a legislatori, giudici, psicologi capire, escogitare, applicare. Io comincerei dalle scuole: non con slogan che gridino una inesistente uguaglianza di generi: siamo diversi, e questo è il bello. Abbiamo reazioni, desideri, emozioni, sogni, timori, attitudini, natura diverse. Non siamo uguali, donne e uomini. Siamo uguali davanti a Dio e alla legge. E tocca insegnarlo ai bambini, fin da quando sbertucciano e poi trattano come oggetti le compagne di classe, quando le guardano come si guarda una cosa, da possedere ed esibire, quando dicono con orgoglio virile, “sei mia”.
Nessuna creatura è al mondo per essere presa e usata: torna a mente la potenza di Fra Cristoforo che inchioda alla condanna eterna don Rodrigo: “Voi avete creduto che Dio abbia fatta una creatura a sua immagine, per darvi il piacere di tormentarla! Voi avete creduto che Dio non saprebbe difenderla!”. Guai a chi lo fa. Verrà, verrà un giorno, per tutti.