Inutile, e scontato, ripetersi a poche ore di distanza dalla prima prova che l’esame di maturità non ti cambia la vita, non è la svolta né una condanna. Che lo fanno tutti, che si sopravvive, che è un rito di passaggio, segna l’ingresso in un’età adulta, ti apre al lavoro o allo studio che potrai finalmente scegliere eccetera. O ricordare le mille variabili per cui non occorre darsi troppi pensieri: la fortuna, leggi l’abilità dei membri interni, la compiacenza di quelli esterni; un particolare stato di grazia psico-fisica, oppure l’obnubilamento di chi stremato da notti insonni e ormai assuefatto al caffè si imbambola alla terza riga del tema, per scriverlo tutto, forsennatamente, nell’ultima mezz’ora. 



Il carattere, ovvero la grinta che sfodera il meno preparato, il meno metodico, o l’emozione che frena e confonde chi ha tutti i crediti e almeno nove in condotta. Gli accidenti della vita, che pare si accumulino sempre nei momenti peggiori, tipo la ragazza/o che ti ha appena detto che ci vuole pensare, i genitori che rompono, un amico che è caduto in moto e salta l’esame, e proprio non riesci a non pensarci. Poi il caldo, che erompe sempre puntualmente per lo scritto di italiano, e di solito dura fino al 10 luglio, quando la maggior parte ha finito pure gli orali, e già presentarsi con la maglietta appiccicosa alle 8 del mattino mette a disagio, evidenzia l’agitazione che con strafottenza tenti di dissimulare. 



E via andare: ti propongono Ungaretti, e tu sei arrivato col programma a finire bene solo l’Ottocento, o invece meno male, Ungaretti è l’unico che ti piace e sai pure qualche verso a memoria. La versione di latino o il compito di matematica riescono a passarteli, e il prof che si aggira tra i banchi finge di non vedere. Hai l’asso nella manica della tesina, quella che ha decretato il 100 di tua sorella, oppure hai deciso di approfondire l’argomento foibe col prof che, lo riconosci, ci aveva provato con Rivoluzione Civile. Ma il “dipende” riguarda anche la scuola dove hai studiato, la città in cui vivi, dato che, secondo le statistiche, i migliori sono concentrati tutti a Reggio Calabria, e i peggiori, guarda un po’, a Milano, e tu che ci puoi fare, se in certi posti sono di mano larga. 



Insomma, un terno al lotto. E poi, a che serve questo psicodramma collettivo di inizio estate? Un pezzo di carta, il solito pezzo di carta. Inutile. Ancora ancora se opti per una di quelle università superfighe per geni, che chiedono almeno il 90 per accedervi. Ma sono poche, e per esseri speciali, sovrumani. Chi mai ti chiederà conto del tuo esame di maturità? 

Ci sono i test d’accesso, tra un paio di mesi, e bene che ti vada ti aspetta un’intera vacanza ancora sui libri, e non è detto che basti. Se vuoi cercarti un lavoro, o sei tra i malati che si iscrivono a una facoltà umanistica, che sia un 70 o un 100 e lode a presentarti è indifferente, non interessa a nessuno. 

Però così è deprimente, vivere, e affrontare le circostanze della vita. Non dico che si debba lancia in resta presentarsi all’esame come a una giostra cavalleresca, pronti ad essere i primi o a soccombere con ignominia. Ma provarsi e prendere quel che capita come un’occasione, questo è possibile, questo rende meno pesanti i giorni d’attesa, e più sopportabile, perfino interessante, lo studio. 

Comunque sia, finisci la scuola. Sono gli ultimi giorni con compagni con cui inevitabilmente si condivide da cinque anni la vita. Che sia il tempo per guardarsi in faccia, per aiutarsi a studiare, a sorridere, a concedersi una scappata per un tuffo al mare o una birra la sera, chiacchierando del poi. Che siano giorni pensosi ma densi di pensieri adulti, sui desideri e sulle scelte: cosa sai fare, cosa puoi fare, cosa serve fare a te stesso e a questo mondo in cui ti trovi a vivere. 

Sono gli unici criteri, rigorosamente in ordine di importanza, che orientano lo sguardo al dopo, e tengono conto di chi sei, delle tue possibilità, del fatto che non basti a te stesso, e ci sono mattoni per costruire, e un lavoro per ciascuno. Se la vedi così, oggi, domani, dopodomani ti levi diritto e dai il meglio di te. Libero dai risultati, ma mettendocela tutta per non sprecare un attimo. Questo è l’unico anticipo di maturità vera. Per compierla, ci vorrà poi tutta la vita, e non sarà mai abbastanza.

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