In frangenti come questo, la retromarcia è peggio dell’iniziativa. L’unica cosa che vorrei capire è come si possa passare, nell’arco di meno di 24 ore, dal decidere di escludere le donne dal servizio di beach steward, al farle tornare a svolgere quel servizio. Se è vero che la polemica e il polverone che si sono alzati su questa vicenda hanno fatto la parte del leone nel far cambiare rotta all’assessorato al Turismo di Jesolo, è altrettanto vero che un dietrofront avrebbe ragion d’essere più valida se ad esso si accompagnasse una reale presa di posizione sul tema in questione. 



In parole povere, se l’amministrazione di Jesolo avesse preso pienamente coscienza che escludere le donne da un certo servizio solo per non dar fastidio agli ambulanti di religione islamica è una palese discriminazione non solo dal punto di vista lavorativo ma anche da quello dei diritti tout court, saremmo di fronte ad un ravvedimento ammirevole. Ma dato che la voce grossa di Zaia e la polemica mediatica che si è scatenata hanno fatto sì che si tornasse sui propri passi, la vicenda prende contorni ancor più paradossali. Insomma, se una determinata amministrazione crede fermamente che un provvedimento vada preso, legittimo o meno, è giusto che vada avanti pur attirandosi addosso vespai infiniti di polemiche. Dicesi responsabilità politica, per come la conosco io. Se ne assumerà il peso e l’onere, pagandone le eventuali conseguenze. Ma la molla del buonismo fa sì che ad un passo in avanti ne corrispondano sempre due indietro, costruendo una visione del Paese assai ambigua e la cui credibilità diventa più che traballante. 



Il punto sta, con tutta evidenza, nel fatto che voler assecondare spinte distruttive dell’identità culturale di un Paese, del nostro tanto per essere chiari, porta a costruire e proclamare pubblicamente scelte incomprensibili, senza alcun fondamento di diritto e senza logica. Se un ambulante di religione islamica viene invitato ad uscire dalla spiaggia da una “beach steward” donna, potrebbe prenderla male, o come è accaduto tempo fa, prenderla magari anche a schiaffi. Invece di dire che quel signore andava spedito in Commissariato e poi allontanato immediatamente dal Paese, qualcuno avrà pensato: perché la sua cultura è quella. Perché un musulmano non prende ordini da una donna. 



Eppure a me, che quel mondo lo conosco piuttosto bene per esservi nata ed avervi vissuto la prima parte della mia vita, pare di ricordare che il Profeta lavorasse nella bottega della sua prima moglie, Khadija. Magari qualcuno, giocando con la storia e con le scritture, arriverà anche a dire che forse era un lavoratore a progetto, senza vincolo di subordinazione e che quindi non prendeva ordini dal padrone della bottega. 

Quella donna, che lo prese a lavorare, è stata punto di partenza imprescindibile per ciò che il Profeta sarebbe stato in tutto il resto della sua vita. Quindi il fondamento di tutto questo zelo nei confronti delle presunte esigenze culturali e morali di chi si permette di non rispettare le leggi, dov’è? Chi ha detto che un uomo di religione islamica non possa ascoltare il parere o l’ordine di una donna se ella rappresenta l’autorità in quel frangente? 

Non condivido neppure, sebbene il suo intervento sia stato risolutore per certi versi, la provocazione di Zaia secondo il quale occorreva proprio ora assumere tutte donne in quel ruolo. Si rischierebbe di andare al paradosso contrario. Il solo principio da affermare, io credo, sia quello che ognuno può e deve assumere chi vuole, senza dover sottostare ad alcun diktat pseudo-culturale, che diventa un ricatto dal quale poi diventa difficile uscire se non con una goffa ritirata. L’estate scorsa il “burkini”, quest’estate niente donne “beach steward”, domani magari piscine separate e chissà cos’altro. 

Ci stanno abituando ad una normalità “estremista”, costruita da alcuni convertiti italiani all’islam nascosti da vent’anni nelle pieghe della società, ma estremamente efficaci. Oggi ci possiamo permettere di fare quest’articolo, magari domani forse no. Se siamo addirittura noi a proporre che le donne non debbano fare questo o quel lavoro perché invise a questo o a quell’altro modo di fare, vuol dire che la propaganda che questi signori hanno esercitato su di noi, sui nostri media imbolsiti e accecati e sulla nostra mente ormai annebbiata dal buonismo galoppante, è stato più che efficace. È stato fratricida. O per meglio dire, femminicida.