Ogni mattina la Messa delle 7.30 in parrocchia viene celebrata da un sacerdote ultra novantenne. Ad un passo malfermo si accompagna una mente lucida e un giudizio di fede su tutto quanto accade.

Pochi giorni fa gli è toccato di cimentarsi con il più famoso brano della Genesi, “Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò”. Con la sua consueta sapienza evangelica ha richiamato i presenti a riscoprire ogni giorno senza mai darlo per scontato il valore e l’importanza del matrimonio cristiano, aggiungendo: “Ciò vale soprattutto per voi qui presenti, molti dei quali tra non molto vorrete festeggiare le nozze d’oro. L’amore cristiano inquieta sempre e non lascia mai nessuno con la convinzione di aver evitato il peggio o di avere raggiunto l’obiettivo, a differenza di quanti non hanno la fede”. Teologicamente corretto, nulla da eccepire.



Ogni mattina al rito della Messa segue quello della colazione in canonica. “Solo tè e biscotti” ripete monsignore. “Il medico e il Signore si sono messi d’accordo. L’uno cura il mio corpo e l’altro mi aiuta a ricordare che la frase ‘se non ritornerete come bambini’ vale anche per l’alimentazione”.



Approfittando del filiale rapporto di devozione che mi lega a lui da tanti anni gli chiedo: “Monsignore, forse bisogna riscrivere la Bibbia! Ma come si fa a dire che Dio li creò maschio  e femmina, se ormai i generi secondo alcuni sono cinque? In Australia hanno sancito addirittura per legge il neutro e noi continuiamo a parlare di Adamo ed Eva?”

Il clima gioviale e cordiale si fa subito serio, perché monsignore non lascia mai cadere alcuno spunto di discussione ed inizia a spiegare qual è il “vostro” modo di ragionare. 

“Perché – dice – voi confondete la Bibbia con le leggi degli uomini. È chiaro ed evidente che le leggi devono adattarsi ai cambiamenti dei costumi e delle abitudini della convivenza tra le persone; ma è altrettanto vero che il Signore, al di là della forma che prendono le sue parole nel linguaggio della Bibbia (ma lasciate questo compito interpretativo ai teologi) ha una sola concezione dell’uomo e della donna, prova ne sia che li fece ‘a sua immagine e somiglianza’. Ciò che è messo in discussione oggi non è la quantità di diritti che bisogna riconoscere a persone che magari sono oggettivamente discriminate, quanto la pretesa tipica dell’uomo post-illuminista di essere lui la misura di sé stesso e di tutte le cose”.



Gli ascoltatori aumentano e la discussione scivola subito sul tema di cui si parla: l’imminente manifestazione del gay pride a Palermo. Tutti sono pronti a riconoscere la necessità che a questa gente venga data più tutela e più diritti, ma lui taglia corto: “Ma voi pensate sul serio che questo sia il loro problema più urgente o siete veramente convinti che Gesù Cristo sia anche per loro, come per voi, la risposta ai bisogni più profondi della loro condizione umana”?

Il vigore della discussione si spegne improvvisamente e un imbarazzante silenzio si diffonde. Monsignore sa come mettere a proprio agio tutti ed inizia a raccontare delle sue esperienze affettive giovanili. Di quando andò dal suo direttore spirituale in seminario per confidargli le sue prime pulsioni sessuali, “in un periodo − precisa − in cui quei temi erano tabù e non erano oggetto di confronto, neppure con i genitori”. E poi aggiunge: “Quando finalmente titubante gli confidai che mi piacevano le donne, mi sentii rispondere: ‘Sapessi quanto piacciono a me!’. E poi aggiunse: ‘Se diventerai prete potrai possedere le donne come solo Gesù sapeva fare. Potrai amarle di più e meglio di quanto sia in grado un marito con la propria moglie’”.

Giovanni il sacrista ha due figli all’università. Confessa che a casa i figli non parlano altro che di questo: se e come partecipare alla manifestazione. Ed aggiunge: “Mi reputo fortunato, almeno finora. Ma se i miei figli mi confessassero di avere tendenze omosessuali non saprei che dire”.

Monsignore risponde senza mezzi termini. “Fate attenzione a non scambiare una battaglia cosiddetta civile con una questione che è fondamentalmente educativa. Non esistono risposte per ogni caso specifico di omosessualità. Tutto nasce da una cattiva educazione dell’affettività. La sessualità deve diventare, attraverso l’educazione, un linguaggio d’amore e non una forma di violenza o di trasgressione. Insomma, anche gli omosessuali possono andare in paradiso. Ne ho conosciuto e ne conosco tanti anche oggi. Intèrrogati piuttosto su come fai il padre e a cosa educhi i tuoi figli”.

E così dall’omosessualità il tema si sposta alla verginità, perché “la verginità − dice – prima che uno stato di vita è la capacità di un vero amore e perciò di un vero possesso dell’altro. Si tratta di orientare la naturale affettività di queste persone verso la giusta direzione, né più né meno di come si fa con tutti i giovani in età adolescenziale. Per intenderci quello che faceva don Pino Puglisi. Ma se la società o la Chiesa rinunciano a questo compito, il terreno rimane in preda all’istintività e all’arbitrio”.

Daniela, una studentessa universitaria fedele frequentatrice della messa mattutina, prende coraggio e chiede lumi su come fare nella sua facoltà di lettere e filosofia, dove non si parla altro che della manifestazione di oggi e di come la Chiesa sia il nemico numero uno contro cui lottare, perché è l’unica a non capire come le cose stiano cambiando.

Monsignore non fa una grinza e le ricorda il testo di un volantino che lei stessa gli diede alcuni anni fa − quando imperversava la polemica sulla pedofilia − ove era riportata una frase di Benedetto XVI che diceva della necessità di uscire dall’autosufficienza per scoprire e accettare “la propria indigenza”. 

“Certo non devi accettare lo schema manicheo secondo cui i buoni sono al corteo e tutti gli altri sono cattivi – precisa –; ma quando anche questa manifestazione sarà conclusa la tua fede nel Signore ha qualcosa da dire anche ai tuoi colleghi che si professano omosessuali o prevarrà solo il giudizio moralistico sulla loro presunta diversità”?

Tornando poi alle polemiche di qualche anno fa sui preti pedofili, ricorda come anche in quell’occasione si fece il tentativo di buttar via con l’acqua sporca anche il bambino. Come in quei mesi, con la scusa di riconoscere che esisteva una seria e diffusa pratica di pedofilia nella Chiesa, si tentò di sottrarre ad essa il compito e la responsabilità di educare i giovani. Come si fosse tentato di ingenerare il sospetto che l’Unicef desse più garanzie del Vaticano e che fosse meglio fidarsi delle vacanze estive organizzate dal’Inpdap per i figli dei dipendenti pubblici piuttosto che di quelle fatte dalla parrocchia o da un movimento cattolico. 

“Se la Chiesa avesse rinunciato a questo compito educativo allora, oggi le parrocchie sarebbero semivuote. Ma guai se non prosegue nello svolgimento di questo compito. Priverebbe l’intera società della possibilità di confrontarsi con una proposta seria che nessuno è in grado di dare”. E poi, spingendosi oltre: “Vedi Daniela, questo disegno perverso tende a dimostrare che la novità della Resurrezione di Cristo, i cui segni più gloriosi sono la verginità e il martirio (non dimenticare così presto la testimonianza di don Pino Puglisi) che la Chiesa pretende custodire, è un’ipocrita menzogna e che nel mondo non c’è neanche un luogo in cui il potere del male sia sotto scacco. È un tentativo satanico di togliere ogni speranza alla vita dell’uomo”. 

“Certo – conclude − l’università è un luogo privilegiato di confronto e dibattito nel quale occorre muoversi con tanta sapienza e conoscenza. Ma non basta rispondere con le precisazioni e le dimostrazioni. È necessario offrire la forza persuasiva dell’evidenza del bene insita nella testimonianza cristiana che preti e laici, oggi più che mai, sono chiamati a dare”.

Quel giorno Daniela ha rischiato di arrivare tardi a lezione e anche gli altri di far tardi in ufficio. Ma forse quella mattina ciascuno avrà avuto non solo un’argomentazione in più, ma anche una speranza in più da comunicare a tutti.