Nel corso del 2012 la dinamica della popolazione italiana sembra aver significativamente risentito dei venti di crisi. Secondo il bilancio anagrafico presentato in questi giorni dall’Istat la crescita dei residenti è stata di 291mila unità (+0,5%) ma è avvenuta esclusivamente grazie al contributo della componente straniera, il cui apporto netto ha largamente compensato un saldo naturale (negativo per il sesto anno consecutivo) caratterizzato da un surplus di quasi 80mila decessi.
Prendendo atto che, ancora una volta, sono stati gli “aiuti esterni” a garantirci vitalità demografica – ed è utile rilevare che se oggi sono le esportazioni di beni e servizi a salvare l’economia del nostro paese sono invece le “importazioni di persone” a dare una mano alla sua demografia – vale comunque la pena di sottolineare la forte riduzione di tale contributo. I dati del 2012 indicano infatti 35mila iscritti dall’estero in meno rispetto all’anno precedente (che già ne aveva conteggiati 73mila in meno rispetto al 2010). Complessivamente il saldo delle iscrizioni anagrafiche da e verso l’estero nel 2012 è stato positivo per 244mila unità, un risultato che però deriva da un +280mila per la componente straniera e da un -36mila per quella di nazionalità italiana.
In ultima analisi il “popolo di emigranti” che sta in noi sembra lentamente riemergere, ma lo fa con numeri (al momento ancora contenuti) e con connotati ben diversi dal passato. Ad esempio è interessante far notare che in corrispondenza delle età che vanno dal 20esimo al 35esimo compleanno – verosimilmente riferibili a soggetti che hanno appena completato il percorso di formazione – il saldo anagrafico intercensuario dei residenti con cittadinanza italiana sia risultato negativo nel decennio 2002-2011 per alcune decine di migliaia di unità; il tutto nonostante, nel frattempo, ci sia stato un non marginale apporto di giovani stranieri divenuti italiani per acquisto di cittadinanza.
In sostanza, i dati più recenti mostrano come nelle fasce d’età critiche – quelle di cui tanto si parla (e poco si fa) – sia in atto uno scambio interno alla popolazione in possesso della cittadinanza italiana, vale a dire: il surplus di cancellazioni per l’estero dei giovani “italiani dalla nascita”, tende a essere compensato dal contributo fornito (specie per la componente femminile) dai giovani immigrati “divenuti italiani” per naturalizzazione o per matrimonio.
Quanto poi alla dinamica della natalità – altro tema scottante – il bilancio anagrafico dell’Istat segnala nel 2012 una frequenza di 543mila casi, 12mila in meno dello scorso anno e in contrapposizione ai 19mila morti accertati in più.
L’adattamento degli stranieri al nostro modello di bassa fecondità – documentato dal rapido passaggio dai 2,5 figli in media per donna straniera nel 2006 ai circa due di oggi − sembra dunque prevalere sia sull’effetto natalità dovuto alla crescita numerica della popolazione immigrata, sia sul progressivo aumento delle presenze di tipo familiare.
Sul fronte della mobilità interna, che ha complessivamente coinvolto circa 1,6 milioni di persone secondo un modello che conferma le tradizionali direttrici Sud-CentroNord, i dati del bilancio Istat del 2012 attribuiscono agli stranieri una vivacità superiore alla media: essi rappresentano poco più del 7% dei residenti in Italia, ma detengono una quota del 18% del totale dei movimenti entro il territorio nazionale.
Infine, il panorama delle famiglie italiane − intese secondo la mera definizione anagrafica − segnala al 31 dicembre 2012 la presenza di 25 milioni e 873mila unità, con un numero medio di componenti pari a 2,3 che riflette un quadro regionale dove si va dal minimo della Liguria con 2 componenti, al massimo della Campania con 2,7. Se si pensa alla media dei 4 componenti dei primi anni 50, ma anche solo agli ancora 3 del 1971, si ha il polso di un cambiamento che va inevitabilmente estendendosi ai modelli di vita e agli equilibri di una società che, tra le tante emergenze, dovrebbe mettere anche quella demografica, e certamente non relegandola in coda.