Caro direttore,

Terminata la correzione delle prove scritte è tempo di colloqui, l’ultima fase degli esami di maturità, quella più vaga dal punto di vista normativo e, quindi lasciata alla responsabilità e alla creatività delle commissioni; ovviamente, sempre che lo vogliano, sempre, cioè, che per una volta ambiscano a uscire dalle pratiche comuni che si sono affermate nell’immaginario collettivo.



Il colloquio è una grande, unica opportunità. Sia per gli insegnanti, che per gli studenti. E’ questo il segreto di questa fase dell’esame che, altrimenti, non resta che un vuoto gioco di ruoli.

Innanzitutto è una occasione per gli studenti, che, se vogliono, possono prendere in mano le redini dell’esame, dimostrando di avere un’incisiva capacità di sintesi e di critica. Questo è ciò che devono fare gli studenti a partire dalla tesina, il lavoro che presentano e con il quale possono dare ragione della loro capacità di impastare con la loro umanità ciò che hanno appreso.



Devono, cioè, esser loro a dare l’impronta alla tesina e, senza paura, far capire agli insegnanti che se si trovano lì e per parlare di sé. E’ in fondo questo il segreto del colloquio: voler raccontare dell’umano che ci si trova addosso, consapevoli che cultura è ciò che fa crescere l’umanità e la sua capacità di abbracciare il mondo.

E per gli insegnanti? È una opportunità per imparare. Anche loro devono decidere se vivere l’esame da protagonisti oppure no. Ma questo è facile: basta che inizino ad incalzare gli studenti domanda dopo domanda. In alternativa, possono assecondare la volontà degli studenti, dialogando, cioè, con quanto essi propongono. Gli insegnanti devono valutare se conoscono ciò di cui parlano, e per farlo devono capire se e come ogni studente implichi la sua umanità in quello che espone.



In questo modo l’esame diventa una grande occasione per imparare, per scoprire come la giovinezza sappia aprire nuove strade alla cultura, sappia tentare le dimensioni del mondo.

Iniziano i colloqui, e speriamo che lo siano, che i due mondi si incontrino, dialoghino, si arricchiscano a vicenda: questo è il bello del colloquio, l’espressione della sua stessa etimologia. Sarebbe riduttivo, al contrario, immaginarlo come un momento in cui prima lo studente parla, e poi gli insegnanti gli fanno le domande, come se si trattasse di due compartimenti stagni; la vibrazione di un dialogo, invece, sta nell’intensità di un rapporto di reciprocità, in un legame che cresce nella sfida della cultura.