Dopo un processo durato tre anni e mezzo e dopo nove anni di ricerche della piccola Denise Pipitone – scomparsa da Mazara del Vallo, nel trapanese, il primo settembre 2004 – il Tribunale di Marsala ha assolto oggi Jessica Pulizzi, sorellastra della bimba, alla sbarra degli imputati per concorso in sequestro. Per lei era stata chiesta una condanna a 15 anni di reclusione: l’accusa e la stessa mamma di Denise, Piera Maggio, si sono dette convinte del fatto che la ragazza fosse coinvolta nella sparizione della piccola che come unica colpa aveva quella di essere nata da una relazione extraconiugale. Sia la Maggio che Pietro Pulizzi, infatti, erano già sposati quando venne al mondo la loro bambina, che infatti porta il cognome dell’ex marito di Piera. Un “disonore” che Jessica non aveva perdonato, ritenendo la piccola Denise il continuo memento del tradimento. Per il profondo risentimento provato e per il desiderio di vendetta, la ragazza, all’epoca dei fatti appena 17enne, secondo quanto sostiene l’accusa, avrebbe fatto rapire la sorellina. E Pietro Pulizzi, doppiamente padre, è stato doppiamente punito, costretto ad assistere al processo sulla scomparsa della figlia minore intentato contro la sua primogenita, e ad attendere un verdetto che sarebbe stato, in ogni stato, una sconfitta. “Non c’è giustizia”, ha gridato l’uomo all’uscita dal Tribunale, dopo che la ragazza che porta il suo stesso cognome è stata assolta. “E cos’altro avrebbe potuto fare?”, ci chiede di rimando il criminologo Francesco Bruno, che al caso Pipitone ha dedicato molto tempo.
Pietro Pulizzi è un uomo preso tra due fuochi…
Mi sembra una descrizione puntuale di quello che può aver provato. È difficile dire il perché delle sue parole, che certamente sottointendono il dolore facilmente immaginabile per la scomparsa della figlioletta ma in generale per tutta la situazione che si è creata.
Quindi la sua uscita non dev’essere letta necessariamente in chiave anti-Jessica?
Direi di no: io ci vedo più che altro l’espressione del tormento di chi ha capito con certezza che tutta la vicenda si è svolta all’interno dell’ambito familiare. Ma la Giustizia, con la sentenza di assoluzione, ha smontato l’unica, dolorosa, sicurezza che aveva.
Quindi meglio una verità che fa male rispetto a brancolare nel buio?
Sì, perché con questa sentenza non si spiega e non si prova nemmeno a spiegare il caso e soprattutto non si risponde alla domanda su che fine abbia fatto Denise. E il padre, dopo aver dovuto affrontare il fatto che il male veniva dal suo stesso sangue, è rimasto di nuovo senza una decifrazione di tutta la vicenda.
Ritiene quindi che la sentenza sia ingiusta?
No, credo comunque che, tenuta conto della minore età dell’imputata quando si svolsero i fatti, e della mancanza di prove indiscutibili, questa possa essere ritenuta una sentenza accettabile dal punto di vista giudiziario. Il problema non sta principalmente nella magistratura, ma nel fatto che nessuno, in tutti questi anni, ha mai detto la verità.
A chi si riferisce?
Agli imputati in primis, dal momento che Jessica ha quasi sicuramente avuto un ruolo – anche se non possiamo dire quale – nella scomparsa della sorella, e poi a tutti i testimoni e a tutte le persone che sapevano qualcosa e sono state zitte. E sono molte, temo proprio.
Secondo lei si riuscirà mai a trovare Denise?
Senza alcun dubbio è morta. Dubito ci siano grandi possibilità di ritrovarla in vita, altrimenti in tutto questo tempo avrebbe in qualche modo dato notizia di sé: scomparve che aveva 4 anni, quindi avrebbe dovuto conservare qualche ricordo delle sue origini che le avrebbe permesso di ricostruire il suo passato.
(Maddalena Boschetto)