Il vescovo di Reggio Emilia – Guastalla, Massimo Camisasca, ha presieduto la messa in suffragio di Enzo Piccinini, morto in un incidente automobilistico nel 1999. Pubblichiamo il testo completo dell’omelia del 26 maggio scorso.

Celebrazione nella Basilica della Ghiara.

Reggio Emilia, Basilica della Ghiara, 26 maggio 2013



Cari fratelli e sorelle,

Innanzitutto saluto i familiari di Enzo – sono lieto di poter pregare con loro questa sera – e poi tutti i suoi amici, che non lo hanno dimenticato. Quando morì Enzo ricordo su Tracce l’articolo commosso, commovente per me, di Giancarlo Cesana, che terminava con questa espressione: «Come sempre Enzo ci ha preceduto». È questo anche il senso del mio ricordo. Siamo qui, assieme, per pregare e ringraziare. Pregare per l’anima del nostro amico Enzo che ci ha preceduto, appunto, nell’incontro definitivo con Dio, come ci aveva preceduto tante volte in vita nella testimonianza a Lui. Ma siamo qui anche per ringraziare il Signore. Per la sua vita, per ciò che essa ha rappresentato per tanti di noi. Egli è stato un “terremoto” nell’esistenza di tante persone che lo hanno incontrato. La sua personalità esuberante e “totalitaria”, la sua passione per Cristo, la sua generosità senza limiti hanno cambiato la vita di tanti uomini e di tante donne. Ma qual è stato il segreto della vita di Enzo? Quale il motore del suo instancabile spendersi? È una coincidenza particolarmente significativa il fatto di ritrovarci assieme proprio nel giorno dedicato alla SS. Trinità.



La solennità che oggi festeggiamo, introducendoci al cuore del mistero cristiano e della nostra stessa vita, ci aiuta a rispondere a queste domande. Dio è comunione, non è una stella lontana, isolata, fredda, ma è, invece, una stella calda, luminosa, infuocata, è un rapporto di persone. La comunione trinitaria è la terra da cui proveniamo e che spiega esaurientemente il nostro essere uomini e donne, come persone che possono compiersi solo nella relazione con gli altri. Il nostro io si spiega soltanto nel noi. «Il fondo dell’esistenza – scriveva Jean Daniélou – il fondo della realtà, la forma di tutto perché ne è l’origine, è l’amore… Chi dice che il fondo dell’essere è la materia, chi lo spirito, chi l’uno: hanno tutti torto. Il fondo dell’essere è la comunione» (J. Daniélou, La Trinità e il mistero dell’esistenza, Queriniana, 1969, 37). È l’idea sintetica che ha animato la vita e il pensiero di don Giussani, tanto da indurlo a sottolineare questa parola – “comunione” – come nome del movimento che era nato da lui. Ed è l’esperienza centrale a cui ha attinto anche Enzo.



La vita trinitaria, nella quale ogni persona divina si dona e si riceve continuamente dalle altre due, spiega coma mai l’uomo, fatto a immagine e somiglianza di Dio, possa compiersi, misteriosamente, solo nell’apertura all’altro, nella donazione di sé. Il peccato ha reso più difficile e piena di resistenze questa esperienza, ma non ha potuto eliminarla. Tanto è vero che quando incontriamo persone che spendono la loro vita senza riserve per un ideale che va al di là del loro io, persone che con la loro esistenza rimandano a un significato più grande, uomini e donne che affermano la comunione come consistenza si sé, rimaniamo conquistati. Risvegliano in noi qualcosa di profondo. E subito avvertiamo una corrispondenza profonda con ciò che anche il nostro cuore desidera. Ecco, dunque, il segreto di Enzo Piccinini. Egli era un uomo senza mezze misure, un uomo che quando ha scoperto Colui per cui vale la pena vivere lo ha seguito interamente. Era “totalitario” perché viveva un impeto di adesione, una forza di convincimento e una capacità di trascinamento assolutamente singolari.

 

Nella mia vita ho visto poche persone con una simile capacità evocativa: Enzo è stato una calamita per centinaia e migliaia di persone che dall’incontro con lui sono state risvegliate a una vita nuova, avventurosa, avvincente. Hanno incontrato Cristo e sono diventate affascinanti a loro volta. In questo senso egli è stato realmente un “creatore di popolo”, partecipando di quello stesso popolo che don Giussani stava suscitando in Italia e nel mondo. La mia vita si è incrociata con quella di Enzo quasi quarant’anni fa, quando don Giussani mi chiese di trasferirmi stabilmente da Bergamo a Modena. Questo progetto non si è poi realizzato, perché, infine, mi fu chiesto di andare a Roma per curare i rapporti tra il movimento e la Santa Sede. I nostri temperamenti erano diversi, ma siamo stati sempre legati da grande stima e da grande affetto. D’altra parte ciò che ha separato le nostre vite è la stessa esperienza che le aveva fatte anche incontrare e quindi poteva tenerle unite: l’obbedienza a ciò che Dio chiede. Proprio questo infatti, mi colpisce, nell’esistenza Enzo: l’obbedienza a Dio genera una vita piena, realizzata, feconda e originale. Guardando a lui si capisce che obbedire a Dio significa sempre obbedire a coloro che Egli sceglie per guidare la nostra vita. La sua figliolanza da don Giussani lo ha introdotto ad un rapporto personale con Gesù, e così lo ha reso libero, intraprendente e, per questo, padre di tanti. Pensando ad Enzo concentriamoci, perciò, su ciò che è essenziale, su ciò che ognuno di noi può vivere nella propria esistenza: l’obbedienza della fede, la gioia dell’elezione, la creatività dell’amicizia. Affidiamo ora assieme questo caro nostro fratello alla misericordia del Padre e soprattutto chiediamo per noi la stessa sua passione per la gloria di Cristo nel mondo.

 

Amen.