Senza l’apporto decisivo di Silvio Berlusconi “in termini di concorso morale, non si sarebbe realizzata la pubblicazione, posto che la presenza in quel luogo e data, certamente significativa, già di per sé costituiva il passaggio necessario per l’ulteriore sviluppo della propalazione della notizia alle persone che non ne erano a conoscenza”. Queste le parole dei giudici della quarta sezione del tribunale di Milano nelle motivazioni della sentenza che ha condannato il Cavaliere a un anno per concorso in rivelazione di segreto d’ufficio. La vicenda riguarda infatti la pubblicazione sulle pagine de Il Giornale della conversazione tra Piero Fassino, allora segretario Ds, e Giovanni Consorte, numero uno di Unipol, telefonata che non poteva essere pubblicata perché ancora coperta da segreto istruttorio. I giudici aggiungono dunque che l’ex premier ascoltò la telefonata tra Fassino e Consorte nella quale l’allora presidente di Unipol informava l’ex leader dei Ds della tentata scalata di Bnl a Unipol. “Quella sera la registrazione audio venne ascoltata attraverso il computer, senza alcun addormentamento da parte di Silvio Berlusconi, o inceppamento del pc”, spiegano i giudici.