Immagino di essere Sara Fontana, la mamma del piccolo Leonardo, affetto dalla nascita da paresi tetraspastica, una malattia terribile, e progressivamente sempre più terribile. Immagino di guardare mio figlio rigido sul passeggino apposito, in preda alle convulsioni, o attaccato alle macchine per poter riposare, la notte, senza essere strozzato dalla saliva. La ascolto, mentre mi immedesimo in lei, questa mamma coraggiosa che ha riunito il suo paese, Buscoldo, per spiegare, chiedere, gridare: lei vuole che a suo figlio sia permessa la sperimentazione col metodo Stamina, vuole provarci, e non importa se non guarirà Leo, non importa se potrà portare conseguenze, a lei basta una speranza, anche piccola, anche solo quella di vederlo sorridere senza spasmi. 



Un miglioramento, questo chiede. Perchè negarglielo? Ricordo che la Camera ha da poco dato il via libera perché proseguano le sperimentazioni avviate, sotto il controllo del ministero della Sanità. Ricordo che, a fronte di molti determinati sostenitori, tanti, soprattutto in campo medico, sono i critici, tanti che mettono in guardia da possibili truffe o illusioni, che potrebbero far abbandonare terapie più lunghe, più lente, ma sicuramente efficaci alla distanza. Un po’ quel che accadde col metodo Di Bella per i tumori. 



La mamma di Leo si è sentita dire dal suo medico curante: “Lei non crede ai miracoli, vero?” E si è ribellata. Giustamente. Una madre non può non credere ai miracoli. Non spera che nei miracoli, non le restano che i miracoli, quando tutto e tutti dicono no, non è possibile, mai più. Anche se non è cristiana, crede ai miracoli. Come i tanti, mai un piede in Chiesa, che affollano come pellegrini le strade di Lourdes o i sentieri di Medjugorje.

Certo che crediamo ai miracoli, e che anche i progressi e i successi della medicina lo siano. Se mai ci fosse una, una sola possibilità di rendere più dolce la vita di un bambino così ammalato come il suo Leo, più facile il sacrificio quotidiano dei genitori, bisognerebbe osare, tentare. Niente da dire. Però, sapendo che il prof. Varrone che ha ideato il metodo Stamina è un dottore in lettere, non in medicina. Che non risultano pubblicazioni su riviste scientifiche che attestino la sua provata validità. Che non basta un servizio delle Iene ad accreditarlo, anche se un servizio delle Iene può muovere l’opinione pubblica, alimentare speranze o illusioni. Il punto è: la terapia proposta è pericolosa per la vita del malato, o risulta paragonabile a una cura compassionevole? Nel secondo caso, se non può nuocere, perché vietarla? 



Si dirà: è necessario che l’Istituto Superiore di Sanità, il ministero, l’Agenzia del farmaco, eccetera eccetera vigilino, brevettino, osservino, chiariscano le conseguenze possibili, ci vuol tempo, bisogna attendere. Ma le madri non possono attendere, io non ce la farei ad attendere, mendicherei nelle tribù più remote dell’Africa o dell’Amazzonia un rimedio possibile, una pianta, un fiore, uno sguardo, chissà. 

Io, madre. Ma chi ha scienza e coscienza medica, chi ha responsabilità politiche non può fare così. O meglio, può dire sì, ma a certe condizioni, ben espresse dai provvedimenti presi in apposta commissione. Sperimentazione, che durerà 18 mesi, e anche se i sostenitori del dottor Vannoni sono più che perplessi, perché non si tratta di sperimentare farmaci in laboratorio, spiegano, ma un protocollo diverso, e non ho ben capito quale. 

Certo, liberi tutti di pensare alle lobby dei farmaci che speculerebbero sulla salute di tanti piccoli e grandi, vietando soluzioni su cui le loro mani rapaci non possono accampare diritti. C’è sempre un complotto che cerca di spiegare il male incomprensibile e misterioso, che si tratti di un attentato terroristico o di un’ epidemia. Ci vuole un colpevole, e tutto è più comprensibile, accettabile, si sa per cosa lottare. Io non ci credo. Credo che, tra tanti tiepidi e farabutti, perché no, la maggior parte dei medici e perfino dei politici siano persone coscienziose, prudenti, appassionate, desiderose di spendere ogni attimo per la vocazione che li ha guidati. Penso che bisogna pur fidarsi di loro. Penso che tocca spalancare le porte a chiunque abbia proposte e idee, ma vagliando con attenzione, e trattenendo il valore: se tanti genitori vedono davvero miglioramenti nei loro piccoli, trattati con il metodo Stamina che viene somministrato in alcuni ospedali di Brescia, bisognerà pur tener conto. Non saranno tutti dei visionari. 

La mamma di Leo ha ragione, non sono una credulona, dice. Crede nei miracoli, lei. Eppure quando parla con voce calda e accorata del suo bambino, dice così: “non crederemo mica alla favola che la vita è un miracolo, la vita di Leo è una condanna”. Non è così, Sara, stia sicura. Nessuna vita lo è, tutte le vite lo sono. Dipende da come si guarda. Senza giudicare,  senza dimenticare che io, ripeto, vivrei in Odissea perenne per un piccolo “di più” da regalare a mio figlio. Ma stia certa, la vita di Leo è un miracolo. So che lo pensa anche lei.