Ha fatto scalpore il caso del maestro di arti marziali Juan Carlos Aguilar, campione di shaolin e kung fu e proprietario di una nota palestra di Bilbao, arrestato dopo la segnalazione di un uomo che l’aveva visto trascinare per i capelli nella sua palestra-tempio una ragazza urlante. Gli agenti, dopo aver sfondato la porta con una mazza, hanno trovato l’uomo immerso nella meditazione di fianco al corpo della giovane, che si è poi scoperto essere una prostituta di 29 anni di nome Ada, ora ricoverata in ospedale in gravissime condizioni per le percosse e le torture ricevute. Aguilar si è lasciato docilmente ammanettare dalla polizia spagnola alla quale ha confessato con noncuranza di aver già ucciso in passato altre donne: durante la perquisizione della palestra è stato infatti ritrovato un grande sacco contenente ossa umane, forse appartenenti ad alcune delle presunte vittime dell’uomo. Lo psichiatra Alessandro Meluzzi ci ha spiegato in che modo la scelta di Aguilar di seguire in modo totalizzante e onnipervasivo alcune discipline orientali pseudoreligiose abbia contribuito a trasferire una patologia già presente nella sua psiche nell’ambito sacrale, spingendolo a compiere una serie di omicidi rituali con funzione espiatoria. 



L’assassino era un fervente sostenitore di filosofie pseudoreligiose orientali che seguiva in modo quasi maniacale. Questo suo attaccamento al “sacro” è sintomo di qualche problema?
Spesso le forme di pseudoreligiosità, le superstizioni e l’attaccamento delle persone nei confronti di pratiche magiche sono la modalità con quale si combatte una sorta di atavica paura. Chiudersi nel recinto del sacro serve agli adepti a preteggersi da una divinità feroce che devono in qualche modo imbonirsi per non essere da essa puniti: è così che si mettono in atto una serie di rituali propiziatori e scaramantici.



Quindi l’eccesso di “religiosità superstiziosa” di Aguilar lo ha distrutto?
Esatto: nel suo caso lo spazio dedicato al sacro è sconfinato nel patologico con una sublimazione della sua nevrosi. Una sacralità morbosa la sua, non incanalabile in un religione particolare: l’assassino non era prettamente buddista, perché lo shaolin – disciplina marziale di origine cinese – è ben lontano dal buddismo, che pratica la non violenza e la liberazione dell’io che certamente non è perseguita tramite l’omicidio.

E il fatto che abbia deciso di uccidere la prostituta proprio nella sua palestra-tempio, con una sorta di rituale di cosa è indice?

Credo che l’uomo soffrisse di una nevrosi di base di tipo ginecofobico che nel coso del tempo è strabordata nell’ambito del sacro, portandolo a compiere un rito catartito usando come vittima sacrificale proprio una femmina, da lui stesso portata all’interno del “tempio”, del “recinto sacrale”.

Soffriva quindi di una qualche patologia che gli faceva “odiare le donne”?
Sì, e che lo ha spinto a uccidere in modo rituale e seriale – sembrerebbe – alcune prostitute per poter arginare i fantasmi che aveva dentro, come fece a suo tempo il celebre Jack Lo Squartatore. Non posso dire con certezza che problemi abbia il maestro di arti marziali per essere spinto ad agire così, forse subì dei traumi infantili o ebbe un rapporto anomalo con la madre che gli ha impedito un adeguato sviluppo della sfera erotica e sessuale. 

 

(Maddalena Boschetto)